Consiglio europeo. L'Europa per ora è una dis-Unione. Merkel dubita su un'intesa oggi
Unione Europea sempre più divisa sugli aiuti. Oggi si tenterà di raggiungere un compromesso
Che fosse un Consiglio Europeo difficilissimo, era chiaro a tutti. «Entriamo nelle discussioni con molto slancio – dice la cancelliera Angela Merkel, dal primo luglio al timone della presidenza di turno Ue – ma le differenze sono molto, molto grandi, e non so dire se avremo una soluzione già a questo vertice. Tutti dovranno essere disposti a un compromesso». «So che sarà difficile – le fa eco il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel –, non si tratta solo di soldi ma di persone, del futuro dell’Europa, della nostra unità». «Il mondo ci guarda», avverte la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. «La nostra Europa è in gioco», dice pure il presidente francese Emmanuel Macron. E poi arriva il solito Mark Rutte, premier olandese: «Vedo meno del 50% di chances di accordo».
I leader hanno avuto due prime sessioni plenarie per un totale di oltre sette ore. Poi una lunga pausa, con una cena rinviata di oltre un’ora. Pausa per una raffica di colloqui ristretti: un incontro a quattro tra Michel, Von der Leyen, Merkel e Macron, bilaterali di Michel con Rutte e il premier ungherese Viktor Orbán, e poi ancora a tre tra Merkel, Macron e il leader polacco Mateusz Morawecki. Il tutto mentre Michel lavorava a nuove proposte di compromesso. «Le opinioni divergono – avverte in serata il premier ceco Andrej Babis – siamo lontanissimi da un accordo».
Nella plenaria Rutte ha insistito imperterrito a chiedere che i piani di riforme e i relativi esborsi siano approvati all’unanimità da tutti gli Stati, inventandosi pure un nome: «meccanismo per la gestione dell’esborso». Rutte, attaccato frontalmente da Giuseppe Conte e dallo spagnolo Pedro Sánchez, su questo rimane isolato, neppure gli altri "Frugali" (Austria, Danimarca, Svezia) e la loro alleata, la Finlandia, lo seguono: la vasta maggioranza converge sulla proposta di Michel per un voto a maggioranza qualificata. In serata Michel ha presentato come proposta di compromesso pro-Olanda l’idea di un «freno d’emergenza»: non era però ancora chiaro il concetto di «consenso» e se potesse di fatto implicare un diritto di veto di un solo Paese.
Intanto la Danimarca insiste per ridurre a 1.050 miliardi di euro il bilancio pluriennale 2021-2027 (già sforbiciato da Michel a 1.074 miliardi dai 1.100 della Commissione). Il cancelliere austriaco Sebastian Kurz chiede meno sovvenzioni, più crediti e un volume del piano di ripresa inferiore e riforme vere. La Finlandia vorrebbe dimezzare i trasferimenti rispetto ai 500 miliardi previsti. Spagna e Italia rifiutano, ma una riduzione appare ormai probabile.
Intanto Macron è tornato ad attaccare gli sconti (preservati e anzi leggermente aumentati nella proposta Michel) sui contributi di cui godono non solo i quattro Frugali, ma anche la Germania, i quali non vogliono rinunciarvi. E poi c’è l’Est: il ceco Babis chiede che più soldi vadano a quest’area, il polacco Morawecki dice no agli sconti e rifiuta per gli aiuti il riferimento agli obiettivi climatici e al rispetto dello Stato di diritto.
Punto, quest’ultimo, cruciale per l’ungherese Orbán, che anzi minaccia il veto. Peccato però che intanto Rutte definiva «irrinunciabile» il legame con i principi fondamentali. E si litiga ancora sui criteri di allocazione dei fondi, che privilegerebbero Italia e Spagna a svantaggio di vari Paesi dell’Est. Oggi giornata clou. «Se serve arriveremo a domenica», dice il premier lettone Krisjanis Karins.