Il dato. L'Europa è ancora troppo povera
Poveri a Roma nel mercato rionale di Val Melaina raccolgono generi di prima necessità in terra tra gli scarti (Foto Ansa)
Già la settimana scorsa Eurostat aveva confermato che il contrasto alla povertà è il grande obiettivo mancato dell’Agenda Europa 2020. Nel giugno 2010 i capi di Stato si erano dati la missione di portare 20 milioni di cittadini europei fuori dalla situazione di “povertà o rischio di esclusione sociale”. Ieri, alla vigilia della “Giornata mondiale per lo sradicamento della povertà” istituita dalle Nazioni Unite nel 1992, Eurostat ha aggiornato le statistiche. La missione è fallita. Gli europei poveri o a rischio di esclusione sociale erano 116 milioni nel 2008 e sono scesi a 109,2 milioni nel 2018. A due anni dalla scadenza, l’Ue non è nemmeno a metà strada.
Occorre una premessa. Eurostat, come e gli istituti nazionali di statistica che coordina, considera “povere o a rischio di esclusione sociale” le persone che rispondono a uno di tre criteri di povertà. Il più generale è quello della povertà relativa, dove il criterio è avere un reddito inferiore al 60% di quello mediano del proprio Paese. Il secondo criterio è quello della povertà lavorativa: è povero chi vive in famiglie dove gli adulti lavorano meno del 20% di quan- to potrebbero. Il terzo criterio è la povertà assoluta, cioè la situazione di chi non ha abbastanza risorse per affrontare almeno uno di nove tipi di spesa, come pagare le bollette, mangiare pesce o fare una settimana di vacanza. Quest’ultimo criterio è quello che indica chi vive una situazione di forte povertà.
Nel decennio 2008-2018 gli europei in povertà assoluta sono scesi da 41,6 a 29,4 milioni, passando dall’8,5 al 5,8% della popolazione. Molte tra le nazioni più povere dell’Ue registrano grandi progressi. In Bulgaria il tasso di povertà assoluta è alto, ma in un decennio si è dimezzato dal 41 al 20,9%. L’Italia, quarta nazione più popolosa dell’Ue, è quella che ha la più vasta popolazione di poveri assoluti ed è uno dei pochissimi Paesi dove la situazione è peggiorata: i poveri assoluti italiani erano 4,4 milioni nel 2008, sono saliti fino al picco di 8,7 milioni nel 2012 e poi sono scesi fino ai 5,1 milioni dello scorso anno. Nei dati dell’anno prossimo si vedranno gli effetti del reddito di cittadinanza.
In Italia è peggiorata anche la povertà secondo il criterio della bassa intensità lavorativa, che invece in Europa è leggermente migliorata, scendendo dal 9,2% del 2008 al 9% dello scorso anno. Per l’Italia il tasso di poveri per scarsità di lavoro era al 10,4% nel 2008 e all’11,3% lo scorso anno, con 4,8 milioni di italiani in questa condizione. È il terzo peggior dato dell’Ue.
La povertà relativa è l’unica dimensione in cui c’è stato un peggioramento a livello di intera Unione Europea. I cittadini dell’Ue che, anche dopo gli aiuti dello Stato, hanno un reddito inferiore al 60% di quello mediano del loro Paese sono passati dal 16,6% al 16,9% della popolazione. Sono 84,9 milioni di persone. Difficile definirli tutti "poveri": in Lussemburgo, caso estremo, è povero anche un single con un reddito inferiore ai 24mila euro lordi annui. In Grecia la soglia della povertà è di soli 4.718 euro, in Italia è di 10.106 euro (da noi risulta povero secondo questo indicatore il 20,3% dei cittadini).
Il peggioramento della povertà relativa conferma però quanto emerso da altre analisi: dopo la crisi l’Europa non ha saputo ridurre la diseguaglianza. Nel 2017 l’indice Gini dell’Ue era a 30,6 punti, lo stesso livello del 2008. Segno che milioni di europei sono stati tagliati fuori dai benefici della crescita economica di questi anni. Finché non saprà “includerli”, l’Ue non potrà centrare i suoi obiettivi di lotta alla povertà