La guerra nascosta. L'ex ministra Filsan "Abdi": l'Etiopia si sta disintegrando
Filsan Abdullahi Ahmed
Era la novità nel governo di quello che fino al 2020 era il leader più innovativo dell’Africa. Filsan Abdullahi Ahmed, trentenne, etiope originaria della Regione somala, studi in Gran Bretagna con un passato di attivista per la pace e i diritti umani. Nel marzo 2020 ha accettato la proposta di Abiy Ahmed, Nobel per la pace, che l’ha nominata ministra federale per le Donne, l’infanzia e i giovani. Un anno e mezzo dopo Filsan “Abdi” si è dimessa perché, come ha rivelato a dicembre al Washington post, non poteva accettare gli stupri etnici come arma di guerra né le violenze sui minori o i bimbi soldato arruolati in entrambi gli schieramenti. Né poteva tacere. Oggi Filsan è nel Regno Unito a preparare un progetto di prevenzione del conflitti in Africa, ma pronta a tornare.
Perché si è dimessa?
Ero stata nominata dal premier "ambasciatrice di buona volontà per l’Etiopia". Poi mi ha chiesto di diventare ministra per unire le varie comunità, valorizzare le differenze culturali e religiose. Credevo nel progetto di Abiy. Invece il premier ha scatenato una guerra contro i suoi stessi connazionali che ha provocato milioni di sfollati e ucciso donne e bambini, i più vulnerabili. Il governo ha gettato via le speranze di democrazia, di elezione libere ed eque. Il conflitto con il Tplf da politico si è trasformato in identitario e ora anche la religione rischia di venire strumentalizzata. Siamo un Paese multiculturale con molte unioni miste, ma Abiy continua a giocare col fuoco. L’informazione non è libera, il governo controlla social e media infettati dall’odio etnico. Rifiuto la guerra civile, per me i tigrini sono prima di tutto etiopi, non potevo più accettare i massacri anche con i droni e il blocco degli aiuti umanitari.
Quali sono le prospettive concrete di pace in questo momento?
Spero come molti altri etiopi in un nuovo inizio perché ho visto sofferenza e dolore in tutte le comunità. È difficile, ma l’Etiopia non può continuare in un circolo vizioso in cui in ogni generazione un gruppo etnico differente viene perseguitato. La mia generazione dovrà interromperlo. Sono i giovani la speranza di pace.
Lei vede un rischio concreto per l’unità dell’Etiopia?
Si, perché se il Tigrai se ne va, altri lo seguiranno. Ma c’è ancora una finestra per evitare la disintegrazione ed è la pace subito aprendo al dialogo nazionale inclusivo e creando corridoi per far entrare gli aiuti e salvare la gente. E poi gli eritrei devono ritirarsi immediatamente e senza condizioni dall’Etiopia. L’alleanza con Isaias Afewerki è stata il più grande errore di Abiy. Come etiope non posso tollerare che truppe straniere invadano il mio Paese, violentino le donne, uccidano civili e bambini. E che la loro presenza e i loro crimini siano negati dal primo ministro. Isaias vuole un’Etiopia indebolita e divisa. Deve andarsene se vogliamo salvare il nostro Paese.