Cominciano a venire al pettine i nodi della fecondazione eterologa. Succede così che – in assenza di ovociti, essenziali alla tecnica nel caso in cui l’infertilità sia della donna – si cominci ora a parlare di un “premio di solidarietà” per chi volesse diventare donatrice. Denaro in cambio di materiale biologico, per dirla senza eufemismi, e cioè proprio il confine che si voleva evitare di varcare in Italia. Anche nelle intenzioni del ministero della Salute. La proposta arriva dal Tavolo tecnico delle Regioni sulla procreazione medicalmente assistita, che è stato inviato in queste ore agli assessori regionali. In un documento si propongono delle soluzioni per far fronte al problema della «carenza di gameti per la fecondazione eterologa, soprattutto di ovociti femminili». Una criticità dovuta dall’invasività della tecnica di asportazione degli stessi, che richiede un ricovero e un piccolo intervento. E questo a fronte di una pretesa (sulla carta almeno) volontarietà del “dono”. Per ovviare al problema, non a caso, vari Centri per la fecondazione assistita hanno deciso di rivolgersi a banche di gameti estere: è il caso dell’ospedale Careggi di Firenze, tra i primi a promettere l’eterologa per tutti per poi trovarsi alle prese con oltre 1.800 coppie in lista di attesa. Il documento delle Regioni pensa ora a un escamotage: un compenso, ovviamente “di solidarietà”, per invogliare le donne in età fertile a sottoporsi al prelievo di ovociti. Ma c’è di più: potrebbero anche essere previste facilitazioni per le pazienti che, sottoponendosi a fecondazione omologa, volessero donare parte dei loro ovociti, come l’eliminazione del pagamento del ticket previsto e un percorso di priorità in lista d’attesa. L’esempio cui guardare, d’altronde, è l’Europa: in vari Paesi Ue, ad esempio, è previsto per le donne donatrici “volontarie” un rimborso per la giornata lavorativa persa, che corrisponde alla mastodontica cifra di 850 euro in Spagna e ai circa 1000 euro in Grecia. Decisamente un affare, soprattutto per le giovani studentesse. Pensare che ad oggi, alla vigilia dell’inserimento dell’eterologa nei Livelli essenziali di assistenza, solo tre Regioni ( Toscana, Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia) hanno recepito con delibera regionale le Linee guida sull’eterologa approvate dai presidenti delle Regioni lo scorso settembre. Una lentezza che spiega bene le difficoltà ad adeguarsi a una sentenza – quella della Corte Costituzionale – che ha scardinato in modo a dir poco avventato l’impianto della legislazione nostrana in materia di provetta. Aprendo una ferita ancora insanata.