Il presidente dei medici. «Errori e ritardi negli ospedali. Il governo eviti il caos»
Hanno fatto molto discutere le parole del premier, Giuseppe Conte, sull’ospedale di Codogno che non avrebbe fatto il suo dovere. Ma Filippo Anelli, presidente dei medici italiani, ammette che la situazione è davvero di grande incertezza e auspica che resista la distensione ritrovata ieri tra governo e Regioni, con l’adozione delle linee guida. Anzi, rilancia: in periferia, si deve accettare un vero e proprio coordinamento ministeriale, dice, perché la situazione negli ospedali e negli studi dei medici di famiglia è molto più complessa di quel che si pensa. Quasi incontrollabile, come il presidente della federazione degli ordini dei medici, la Fnomceo, spiega in quest’intervista.
È vero che alcuni ospedali non sono all’altezza dell’emergenza Coronavirus?
È sotto gli occhi di tutti. L’ultimo caso di un ospedale paralizzato dalla scoperta di un contagiato è quello di Albenga. Siamo di fronte a un problema organizzativo: un Pronto soccorso che riceve i malati di questo virus immediatamente viene chiuso, poi, come in un drammatico domino, chiude anche la rianimazione e quel nosocomio si ferma. Fermo il triage, fermi gli interventi, ferma l’attività ospedaliera. Il paradosso è proprio questo: se un cittadino chiede aiuto al Sistema sanitario nazionale perché è contagiato da Sars-CoV-2, non siamo in grado di mantenere attivi i servizi per cui lavoriamo. Questo è un fatto che può ripetersi, e si ripete, in ogni nosocomio, dal piccolo al grande, laddove non si è pensato per tempo a riprogrammare il triage e i servizi connessi.
C’è stato un ritardo nel capire e nel gestire l’emergenza?
Mi pare evidente.
Colpa dei manager ospedalieri o dell’organizzazione sanitaria nel suo complesso?
Una gestione diversa era prevedibile e andava prevista. Abbiamo avuto un mese e mezzo. Dopo di che il sistema ha una base regionale e una centralizzazione delle disposizioni e delle modalità organizzative è impossibile – ogni Regione opera in autonomia e continuerà a farlo, nell’ordinario –, ma un coordinamento dell’emergenza è indifferibile, altrimenti il sistema sanitario collassa.
Fra quanto? Settimane? Giorni? Ore?
Dipende da quanti contagiati si presentano al Pronto soc- corso. Che il sistema non sia efficiente non lo dice la Fnomceo. Noi diciamo che gli ospedali non dovrebbero mai chiudere e che gli operatori dovrebbero essere dotati dei dispositivi necessari per visitare i cittadini in sicurezza, per curarli e farli sentire tranquilli. Per questo abbiamo chiesto l’intervento del governo.
Il Coronavirus è il funerale del SSN?
Non voglio essere così tragico, ma è un fatto che l’attuale gestione del sistema sanitario crei disuguaglianze in tempo di pace e durante le emergenze... beh, la situazione è sotto gli occhi di tutti.
Le Regioni temono che il governo colga l’occasione per "scippare" la sanità.
Ho sentito i presidenti lamentarsi. Bene, hanno il pieno potere di gestire il Servizio sanitario. Dovevano farlo. Assumersi le responsabilità della gestione e dare indicazioni chiare. Solo dopo aver appurato le difficoltà, la Fnomceo ha chiesto al governo di intervenire, monitorando la situazione dei dispositivi di protezione dei medici in tutte le Regioni, da cui giungono notizie frammentate e comunque che segnalano gravi carenze. Solo il governo può assicurare questo coordinamento ed evitare il caos.
In questo momento, cosa si deve fare negli ospedali per tamponare l’emergenza?
Innanzitutto, ciò che si fa in Lombardia e Veneto: creare un triage dedicato al virus, che cioè non metta in contatto il caso sospetto – cui va fatto ancora il tampone – con altre strutture del pronto soccorso. Bisogna allestire una procedura totalmente dedicata a questi potenziali malati, escludendo ogni contatto con gli altri. Ma non basta. A valle del Pronto soccorso, debbono essere create delle sale di rianimazione dedicate.
Si può fare dall’oggi al domani?
Si può dedicare un ospedale all’emergenza e, a maggior ragione, si possono allestire sale ad hoc. Si può fare tutto, ma bisogna pensarci. Anzi, bisognava pensarci prima. Ripeto, abbiamo avuto un mese e mezzo.
Qual è il nemico dei medici ora?
La loro, la nostra psicosi. Siamo uomini e donne: se non abbiamo dispositivi di protezione diventiamo insicuri e l’insicurezza tra i medici in queste ore è molto alta. Inoltre, un medico non protetto è un possibile untore. Tutto ciò conduce alla paralisi del sistema sanitario e non è sufficiente affidarsi all’abnegazione e alla passione degli operatori. Non possiamo mandarli in prima linea a torso nudo.
Fnomceo vorrebbe rinazionalizzare la sanità?
Ma no, l’attuale sistema è regionale e tale resterà. Abbiamo chiesto, perché utile a tutti, un coordinamento con le Regioni, mantenendole in primo piano, purché diano il massimo della collaborazione. Lo Stato in questa fase deve assumere dei poteri che non significano mortificare le Regioni ma gestire l’emergenza. Che si abbia l’umiltà di riconoscere gli errori e si salvi il Paese.
Non è che il Ministero della Salute abbia quella grande immagine di efficienza... Ce la farà?
Credo di sì. Le direzioni e il sistema amministrativo funzionano; certo servirà un rodaggio. Ma non pensiamo che ci sia un’alternativa a questo coordinamento, che mi aspetto coinvolga anche i prefetti.
In questo ripensamento, non si dovrebbero trovare anche delle nuove risorse?
Certo. Abbiamo già chiesto di mobilitare i giovani medici, per sostituire quelli ammalati e incrementare i controlli. Poi, c’è il fronte caldissimo dei medici di famiglia. Il discorso dei dispositivi carenti riguarda anche loro, così come quello del modello organizzativo. Oggi la situazione è aberrante: affrontano un virus contagiosissimo a mani nude; bisogna ripensare il sistema di visita in base alla sicurezza dell’operatore, che si riflette sulla qualità del servizio reso al cittadino. Noi cerchiamo di fare la nostra parte: abbiamo diffuso online corsi di formazione per i medici, allo scopo di far conoscere il 'nemico', ma mancano i mezzi per affrontarlo.