Sentenza. «Incostituzionale l'ergastolo ostativo», un anno di tempo per la nuova legge
Il carcere di massima sicurezza fiorentino di Sollicciano, in Toscana
L'ergastolo ostativo «è in contrasto» con la Costituzione e con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Lo ha stabilito la Corte costituzionale, decidendo però di non intervenire subito ma di dare un anno di tempo al Parlamento per modificare la norma tenendo conto «della peculiare natura dei reati connessi alla criminalità organizzata di stampo mafioso». Ed è proprio questo il motivo per il quale la Consulta ha rinviato la “bocciatura”, per evitare che da un vuoto legislativo si possano avvantaggiare le mafie. Ricordiamo che la Corte doveva esaminare le questioni di legittimità sollevate dalla Corte di cassazione sul regime applicabile ai condannati alla pena dell’ergastolo per reati di mafia e di contesto mafioso che non abbiano collaborato con la giustizia e che chiedano l’accesso alla liberazione condizionale. Le attuali norme del cosiddetto “ergastolo ostativo” precludono in modo assoluto, a chi non abbia utilmente collaborato con la giustizia, la possibilità di accedere al procedimento per chiedere la liberazione condizionale, anche quando il suo ravvedimento risulti sicuro. In altre parole non basta il pentimento se il mafioso non decide anche di collaborare, rivelando fatti e responsabilità.
Ora, secondo i giudici, come viene fatto sapere in una nota ufficiale, «tale disciplina ostativa, facendo della collaborazione l’unico modo per il condannato di recuperare la libertà, è in contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione e con l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo». Insomma è incostituzionale. Però la Consulta decide, per ora di non decidere, perché, comunica, «l’accoglimento immediato delle questioni rischierebbe di inserirsi in modo inadeguato nell’attuale sistema di contrasto alla criminalità organizzata». C’è, cioè, il rischio che i mafiosi ne possano approfittare. Per questo motivo la Corte ha stabilito di rinviare la trattazione delle questioni a maggio 2022, «per consentire al legislatore gli interventi che tengano conto sia della peculiare natura dei reati connessi alla criminalità organizzata di stampo mafioso, e delle relative regole penitenziarie, sia della necessità di preservare il valore della collaborazione con la giustizia in questi casi». In attesa di leggere l’ordinanza che sarà depositata nelle prossime settimane, non mancano opposte reazioni del mondo politico.
Molto netto e critico il leader leghista, Matteo Salvini. «Per mafiosi e assassini l’ergastolo non si tocca, dicano quello che vogliono. E basta!». Meno duro ma altrettanto critico il M5s. «Ci lascia perplessi la sentenza della Consulta. I mafiosi se collaborano possono accedere ai benefici di legge, se non lo fanno non comprendiamo perché debbano beneficiare di qualsivoglia beneficio» affermano i parlamentari della commissione Antimafia annunciando che «interverremo subito a livello parlamentare, con l’obiettivo di non fare mai un passo indietro e per la tenuta dell’ergastolo ostativo».
Per il senatore del Pd Franco Mirabelli, capogruppo dem in commissione Antimafia, la sentenza «si fonda su ragioni forti ma allo stesso tempo riconosce la necessità di intervenire per impedire che il rispetto di principi di civiltà giuridica indebolisca la lotta alla mafia». Per questo, aggiunge, «vanno introdotte norme rigorose che impediscano a chi mantiene rapporti con le mafie sul territorio di godere dei benefici senza violare la Costituzione. Serve riconoscere insieme la funzione riabilitativa della pena ma anche la pericolosità eversiva delle mafie».
Il costituzionalista e deputato Pd Stefano Ceccanti, Presidente del Comitato per la Legislazione, allarga la riflessione, sottolineando come la decisione della Consulta «si inserisce in una serie di pronunce su temi molto delicati in cui la Corte costituzionale vuole riaffermare il primato dei principi costituzionali ma anche, al tempo stesso la necessità di una decisione parlamentare in tempi ragionevoli che sia capace di tenere conto di esigenze diverse». Ora, aggiunge, si apre una questione «più complessiva, quella del seguito da dare in Parlamento alle decisioni della Corte e, nello specifico, a decisioni di questo tipo, che danno alcune indicazioni e un termine preciso».