L'analisi. Meloni modello Berlusconi: cosa non è cambiato
C'è ancora molto Silvio Berlusconi in questo centrodestra. C'è molto nel programma di governo ancora centrato su alcuni punti fermi del Cavaliere: meno tasse per chi produce e lavora, la difesa della proprietà immobiliare, la guerra alla burocrazia, l'estensione della cosiddetta flat tax per le partite iva, pensioni minime più robuste, una forte attenzione alla sicurezza del cittadino, la riforma della giustizia in senso garantista per l’imputato. E c'è molto nella composizione dell'attuale esecutivo: i nomi di peso del governo Meloni sono legati alla stessa storia: tutti. Anche Giorgia Meloni. Tutti cresciuti all'ombra del Cavaliere. Tutti giovani protagonisti nei vari governi Berlusconi. Raffaele Fitto, Adolfo Urso, Giancarlo Giorgetti, Antonio Tajani, Guido Crosetto, Alfredo Mantovano...
LE SCELTE ECONOMICHE
Anche le parole d'ordine di Silvio Berlusconi sono più che mai vive. I suo tempi, cominciati con lo storico videomessaggio di nove minuti del 26 gennaio 1994 continuano a condizionare la politica di oggi. Su tutte le grandi questioni che interrogano politica e società. Antonio Palmieri, già deputato e responsabile delle campagne elettorali di Forza Italia fino al 2022 e oggi fondatore e presidente della Fondazione Pensiero Solido, parte ricordando la linea del Cavaliere sul fisco: «Da imprenditore Berlusconi ha sempre sperimentato l'invadenza dello Stato nella vita economica dei cittadini... E allora sì a un fisco semplice e comprensibile e sì a una riduzione generale delle tasse, a partire dai più poveri e dal ceto medio... Erano gli strumenti per ridurre il perimetro di intervento negativo dello Stato, per garantire al governo più introiti per aiutare i veramente bisognosi e per liberare le energie di chi ha voglia di mettersi in gioco. Il Principio di Sussidiarietà era il cardine di questa visione, cosa che lo spinse, per esempio, a varare per primo provvedimenti fiscali a favore del terzo settore, come il 5x1000». C'è ancora molto della "lezione" economica di Silvio Berlusconi nelle scelte di Giorgia Meloni. L'ex premier e l'attuale premier parlano alla stessa Italia. Quell'Italia che vuole lavorare, guadagnare, pagare meno tasse ed essere protetta dall’insicurezza. Magari sotto la guida di un grande leader capace ed efficiente che si occupa di risolvere i problemi. Questo era il pacchetto culturale di Berlusconi. Lo stesso pacchetto che oggi rende ancora così forte e radicata politicamente la destra pur senza che questa abbia il controllo dei "centri" dove si costruisce il consenso: scuole, università, burocrazie e realtà editoriali.
DA SILVIO A GIORGIA: I PUNTI DI CONTATTO
C'è una nostalgia politica e una nostalgia umana nel centrodestra. Roberto Calderoli, oggi ministro del governo Meloni ma per anni punto di riferimento del Cavaliere nella Lega, ricorda la forza politica di Berlusconi. E la lega a quella umana ricordando la sua partecipazione al fenerale della mamma. Palmieri parte da qui. Dal tratto umano. «Pur nella asprezza della contesa politica e della lotta per il potere, Berlusconi ha sempre manifestato concretamente una attenzione e un rispetto personale agli antipodi dello spietato cinismo purtroppo tipico di molti politici. Non ha mai inteso la politica come rapporto di forza ma come forza che deriva da un rapporto personale, una vicinanza umana che si manifestava soprattutto nei momenti tristi personali...». Ma cosa resta nel governo Meloni delle scelte politiche di Berlusconi? Qual è il filo che lega due esperienze? Giovanni Lamberti, giornalista parlamentare di razza e autore con Vittorio Amato di uno degli ultimi libri sul Cavaliere (Una battuta Presidente) la vede così: «Silvio Berlusconi non è stato solo il fondatore del centrodestra ma il leader politico che tra mille difficoltà - penso ai rapporti con il primo Bossi e con l’ultimo Fini - ha saputo mantenere stabili gli equilibri all’interno dell’alleanza. Nel bene e nel male ha rotto gli schemi, mettendo tra l’altro il suo corpo, la sua vita, la comunicazione, la cura del dettaglio, a difesa del "suo" centrodestra. Ecco, Giorgia Meloni ha sicuramente ereditato quella capacità di leadership, conservando quella sensibilità umana ma mettendo sempre la politica davanti a tutto, limitando alcuni eccessi, anche mediatici, del Cavaliere, controllando maggiormente le sue esternazioni pubbliche, scegliendo un profilo per certi versi più istituzionale e riservato». Due leader, Berlusconi-Meloni. Chiamati in stagioni diversi a fare i conti con gli stessi nodi. Uno su tutti la giustizia.
IL NODO GIUSTIZIA
Antonio Palmieri è sintetico: «L'obiettivo di una giustizia, civile e penale, equa e funzionante per tutti i cittadini e per le imprese è sempre stato uno dei cardini della politica di Berlusconi. Una necessità certamente "confermata" dall'accanimento mediatico-giudiziario cui è stato sottoposto per quasi trent'anni, ma insieme un obiettivo utile per tutti, soprattutto per i più deboli». Meloni come Berlusconi? Le ruvidità con l'Anm, i fantasmi di un accanimento giudiziario... Il filo che lega il premier di oggi e quello di ieri viene raccontato tra via Arenula, la sede del ministero della Giustizia-Palazzo Chigi, la roccaforte del governo e palazzo dei Marescialli la sede del Consiglio superiore della magistratura così: la riforma costituzionale della giustizia presentata da Nordio era un pallino di Berlusconi... Si parla dei pilastri della riforma: separazione delle carriere e conseguente riforma del Csm... E si precisa come i governi di centrodestra guidati dal cavaliere una riforma così non erano mai riusciti nemmeno a presentarla. Meloni più forte del Cavaliere? La storia ci dirà, ma intanto la premier va dritta. E anche l’introduzione dei test psico attitudinali per i Magistrati, che entreranno in vigore a partire dal 2025, erano nella testa di Berlusconi.
LA POLITICA ESTERA
Berlusconi come Meloni? Palmieri shiva l'ostacolo e si sofferma su un'analisi della politica estera del Cav. «La sua visione era chiara, coerente con la storia repubblicana e al tempo stesso rivoluzionaria e proiettata oltre il contingente. Chiara e coerente: Europa, (intesa come unione di popoli e come player mondiale e non come entità burocratica) Occidente e amicizia con gli Stati Uniti, tutela dell'esistenza dello Stato di Israele. Rivoluzionaria e lungimirante: dopo l'11 settembre aveva compreso che per fare argine al terrorismo globale islamico bisognava ancorare la Turchia all'Europa e coinvolgere la Russia come partner della Nato. Oppure, già dieci anni fa aveva visto l'incombere della Cina come nuova protagonista mondiale, con evidenti mire egemoniche globali. Naturalmente ripudiava la guerra come strumento per risolvere le contese politiche. Nel 2003 cercò fino all'ultimo di dissuadere Bush da invadere l'Iraq. Nel 2008 riuscì a fermare Putin nella sua guerra conto la Georgia». Giorgia Meloni non è Silvio Berlusconi. Non ha i rapporti del Cav. Non ha lo stesso peso sullo scacchiere mondiale. Nemmeno Stefano Parisi, per anni una delle teste più lucide del centrodestra e oggi presidente della Fondazione Settembre ottobre si sbilancia in paragoni. Ma avverte: «Sono mesi difficili nel rapporto tra Israele e le democrazie occidentali. Nelle loro opinioni pubbliche si palesa un potente e radicato antisemitismo, crescono i movimenti a sostegno di Hamas, si moltiplicano gli attentati terroristici nelle capitali occidentali contro obiettivi ebraici, i governi occidentali hanno posizioni spesso ambigue se confrontate con il chiaro e potente sostegno all’Ucraina invasa da Putin...». Con Berlusconi era tutto diverso? «Berlusconi - va avanti Parisi - forse è stato il Presidente del Consiglio italiano con il più forte rapporto con Israele. È stato un atlantista convinto. Forgiato dalla sua prima vera esperienza di politica estera da primo ministro: Berlusconi torna a Palazzo Chigi a giugno del 2001, poche settimane prima dell’attacco alle Torri Gemelle. L’11 settembre l’agenda del suo governo, come quella di tutti governi occidentali, cambia radicalmente. Sostegno militare alla lotta al terrorismo, amicizia con gli Usa di Bush, asse con Aznar e Blair, contro i titubanti governi francese e tedesco. E di fondo l’amicizia con Israele e il forte rapporto con le comunità ebraiche italiane. Non ha mai mancato i festeggiamenti per Yom Hatzamut, la festa dell’indipendenza dello Stato d’Israele...
MELONI-SALVINI E IL PARTITO PERSONALE
Berlusconi è stato il primo a pensare e a costruire il partito personale. Un partito "leggero". Privo di una organizzazione degli apparati. Per molti aspetti simile ad un comitato elettorale con caratteristiche di marketing aziendale. I suoi alleati di un tempo, la vecchia Lega nord e Alleanza nazionale, erano partiti veri sul piano organizzativo e di partecipazione alla vita politica degli iscritti. Oggi, invece, tanto la Lega di Salvini quanto Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni sono dei partiti personali, molto più simili a Forza Italia di quanto non lo siano stati i loro partiti antenati. La leaderizzazione, imposta dal primo Berlusconi come novità assoluta, è diventata una caratteristica strutturale dei partiti del centrodestra italiano. Anche su questo c'è molto Berlusconi nell'attuale centrodestra. Diverso da quello di vent'anni fa. Più destra cento che centrodestra. Con Meloni che da tempo ha provato a lanciare una sfida (per ora sottotraccia) a Forza Italia puntando su due leve poderose. Uno: guida il governo e dunque può offrire posti ed opportunità. Due: controlla il partito nettamente più grande della coalizione e quindi può farsi garante della rielezione dei parlamentari che le interessano sul piano del consenso. E poi la "caccia" ai voti di Berlusconi ha anche un valore strategico: offrire idee liberali e moderate per allargare il bacino elettorale, spostare il partito più al centro, mettere progressivamente a tacere le critiche relative all’estremismo e al post-fascismo. Tajani però ha chiaro il quadro e ha già messo in atto la contro-offensiva.