La sentenza. Eni-Saipem, tutti assolti in appello
I legali di Eni e Saipem dopo la sentenza
Tutti assolti «perché il fatto non sussiste» nel processo sulle presunte tangenti pagate da Eni e Saipem per ottenere appalti in Algeria nel 2008. La Corte d’Appello di Milano, dopo una breve camera di consiglio, non si è limitata a confermare il verdetto d’innocenza per Eni, il suo ex ad Paolo Scaroni e l’ex manager Antonio Vella, ma ha anche cancellato le condanne inflitte in primo grado, il 19 dicembre 2018, a Saipem e ai suoi uomini. In tutto fanno dieci assoluzioni dall’accusa di corruzione internazionale, comprese quelle per Eni e la sua partecipata, chiamate a rispondere della violazione della legge 231 del 2001 sulla responsabilità per i reati commessi dai propri dipendenti.
Cade, quindi, la tesi accusatoria del sostituto procuratore Massimo Gaballo e del pm Isidoro Palma, il cui appello per il capitolo su Eni è stato ritenuto inammissibile «per genericità». Per la corte, presieduta da Giuseppe Ondei, non è stata provata nemmeno sul versante Saipem – il perché lo si leggerà nelle motivazioni attese tra 90 giorni – quella che secondo i pm era la «maxi-tangente» da 197 milioni pagata in più tranche al ministro dell’Energia algerino Chikib Khelil e al suo entourage per sfruttare giacimenti nel Paese nordafricano.
Con l’assoluzione, è stata revocata anche la confisca di 197 milioni, il ritenuto “prezzo” del reato. Soddisfazione dei legali, che hanno accolto il verdetto con urla di gioia e abbracci: «Credo che si possa mettere la parola fine a questa complessa vicenda, non abbiamo mai avuto dubbi che finisse così», è il commento del legale di Scaroni, l’avvocato Enrico De Castiglioni, che sottintende un riferimento al travagliato cammino giudiziario della vicenda, passata nel 2016 da un annullamento della Cassazione di una sentenza di assoluzione già pronunciata dal gup di Milano Alessandra Clementi.
Nel giorno della sentenza arrivano però nuove, cattive notizie per Eni. Stavolta dall’Antitrust, che ha inflitto al colosso petrolifero una sanzione da 5 milioni di euro per pubblicità ingannevole nella campagna relativa al carburante 'Eni Diesel+'.
Una multa che ha colto di “sorpresa” i vertici di Eni, convinti di aver agito correttamente e decisi a ricorrere al Tar del Lazio contro la sanzione. Oggetto del contendere è l’articolata campagna pubblicitaria che, per far conoscere ai propri clienti il nuovo carburante (ottenuto miscelando un 85% di gasolio minerale con un 15% di prodotto di origine vegetale, il “biodiesel”), ha utilizzato secondo l’Antitrust il termine “green diesel” in maniera scorretta.