Dalla pittoresca Rocchetta di Castellarano Taranto e la sua Ilva sono lontanissimi. Nello spazio e nel tempo.Qui, nel cuore del distretto industriale ceramico di Sassuolo-Scandiano – in numeri, 350 milioni di metri quadrati di piastrelle prodotte all’anno, di cui il 75% destinato al mercato estero – la “sfinge” dell’apparente incompatibilità tra lavoro e ambiente è stata sconfitta a metà degli anni Novanta, quando dopo un ventennio di inquinamento spregiudicato del suolo e delle acque, i Comuni del comprensorio (oltre a Castellarano, Casalgrande, Castelvetro di Modena, Maranello, Rubiera e Sassuolo) si sono riuniti attorno a un tavolo, presenti industriali, Provincia, Regione.Allora la decisione fu pesantissima, in termini di investimenti: per la bonifica delle aree demaniali – di cui si fecero carico le amministrazioni – si fissò la cifra verosimile di venti miliardi delle vecchie lire. Uno sforzo titanico, accompagnato dalla promessa (via via mantenuta) di un eguale impegno da parte dei privati nella messa a norma degli impianti e dei processi produttivi. Primo obiettivo, risolvere il problema delle acque, infestate dagli inquinanti derivanti dai processi industriali dei fanghi ceramici e delle vernici, ricchi di metalli pesanti, che venivano dispersi all’esterno. «Il primo intervento è passato quindi attraverso l’imposizione del riciclo delle acque interne agli stabilimenti – spiega Gianluca Rivi, sindaco di Castellarano –. Oggi non fuoriesce più una goccia, cosa che consente alle aziende anche di risparmiare dal punto di vista idrico».Ma la carta vincente del distretto emiliano è stata soprattutto quella della sinergia pubblico-privato: «Nel corso degli anni la mentalità degli imprenditori è cambiata – continua Rivi –. Gradualmente si sono resi conto che un prodotto deve essere anche “ecologicamente” spendibile, o si rischia di bruciarsi quote di mercato». E visto che il mercato delle ceramiche italiane impazza soprattutto nel Nord Europa – un “pianeta” dove la certificazione ambientale delle aziende conta molto di più che in Italia – ecco che il rispetto della natura e della salute pubblica sono diventati una priorità (interessata, certo, ma pur sempre una priorità) anche degli industriali.La vera notizia? «È che la bonifica non è ancora finita», spiega Rivi. Non a caso, anche se la qualità della vita nel comprensorio è di gran lunga migliorata e la quasi totalità delle aziende ha ottenuto una certificazione ambientale, esistono ancora delle criticità, ben evidenziate nello studio "Sentieri" dell’Istituto superiore della sanità (quello, per intendersi, che ha sancito l’emergenza cancro a Taranto): «Si suggerisce di acquisire dati per valutare lo stato attuale dell’inquinamento ambientale da piombo e dell’esposizione occupazionale al metallo», scrivono gli esperti a proposito del distretto di Sassuolo-Scandiano, caldeggiando la conduzione di indagini epidemiologiche «per studiare la prevalenza dell’asma». «Questo significa che un processo di decontaminazione del territorio non si esaurisce nemmeno in vent’anni – continua Rivi –, che siamo ancora impegnati in sforzi economici e progettuali». Continuità, dunque. Sembra un suggerimento per Taranto. «Nient’affatto, ci rendiamo conto delle differenze enormi che esistono tra il nostro sistema produttivo e quello dell’Ilva – aggiunge Rivi –, a cominciare dalla concorrenza, che qui ha sempre visto singoli imprenditori sfidarsi a fare meglio degli altri per poi fare sistema nei momenti essenziali». A Taranto, invece, «l’industria e l’occupazione di ventimila persone si misurano con la macchina abnorme di un’unica realtà, una sorta di monopolio che fino a vent’anni fa è stato in mano allo Stato». Eppure cominciare si deve, e presto, anche lì.