Alluvione in Romagna. In pizzeria da Rita, dove si sono ritrovati gli ostaggi del fango
Rita Nanni col cartello dell'iniziativa organizzata in pizzeria
«Nel tardo pomeriggio del 16 maggio 2023, stavo risalendo col mio camion la strada statale 67 del Muraglione che da Forlì porta a Firenze, quando improvvisamente mi trovai di fronte sulla carreggiata una montagna di terra, sassi e detriti travolti da un uragano d’acqua e fango che scendeva impetuoso dalla montagna. Feci con fatica un’inversione ad U, ma, percorsi appena 500 metri per andare verso l’autostrada A14, m’imbattei nella stessa scena. Ero in trappola. Per fortuna in mezzo a quei due enormi sbarramenti franosi c’era un bar pizzeria aperto, che mi accolse come altri venti automobilisti rimasti nella stessa trappola». A raccontare la storia è Salvatore, un camionista di Napoli, rimasto fra gli oltre venti “ostaggi” che dovettero trascorrere la notte nel bar pizzeria “L’Incontro del Casone”, una frazione del Comune di Dovadola di cento abitanti, a 17 chilometri da Forlì e a 80 da Firenze, sulla SS67. Un anno fa il nome di quel locale realizzò la sua vocazione, perché s’incontrarono e lì vennero accoli dalla titolare Rita Nanni i “prigionieri dell’alluvione”: il camionista napoletano Salvatore, due austriaci che da Firenze si recavano a Ferrara per un concerto, una signora di Firenze che rientrava a casa, dopo una visita alla figlia sulla Riviera romagnola, un corriere di Rimini di origini nigeriane e decine di pendolari che rientravano a casa al termine della giornata lavorativa.
Racconta la titolare del bar pizzeria, Rita Nanni: «Io ero già in ansia, perché non riuscivo più a collegarmi per telefono con mio figlio 22enne Manuel che studia all’università Iulm di Milano. Ma quando ho visto arrivare tutta quella gente bagnata, impaurita e disorientata, sotto un diluvio universale, mentre saltavano le comunicazioni telefoniche e la corrente elettrica, per un attimo mi sono sentita persa. Poi mi sono ripresa, improvvisando l’accoglienza. Quindi abbiamo preparato la cena per tutti, come meglio abbiamo potuto, cercando di farci coraggio l’un l’altro. Poi abbiamo cercato una sistemazione per la notte, sia nel locale sia nelle case vicine della frazione. Ma molti non hanno chiuso occhio». Il giorno successivo sulla zona è atterrato un elicottero delle forze dell’ordine, prelevando le persone rimaste intrappolate, portandole in salvo in luoghi di smistamento per il rientro nelle rispettive case. Per ricordare quella cena a forzato lume di candela, Rita ha organizzato per quattro serate con cena o pizza, musica e intrattenimento, devolvendo 3 euro a pasto agli alluvionati della valle del Montone, alle prese ancora con tanti problemi aggravati dal terremoto dello scorso 18 settembre (magnitudo 4.9), con conseguenti decine di famiglie sfollate con la casa inagibile. Gli oltre 100 abitanti della frazione Casone di Dovadola rimasero isolate per oltre 15 giorni, dal 16 al 29 maggio, quando Anas arrivò con potenti mezzi per aprire un passaggio. Purtroppo ad un anno di distanza dall’alluvione, la strada statale 67 (una statale che collega la Romagna alla Toscana) è ancora interrotta con nove semafori a senso unico alternato da Dovadola a San Benedetto in Alpe, un tratto di circa 28 chilometri, con gravi conseguenze per l’economia, la vita sociale e il turismo non solo di una valle, ma di due regioni italiane.
Da tutta questa storia drammatica, fatta di disagi, problemi e conseguenze negative, è rimasto qualcosa di positivo? La prima risposta arriva da Luigi Barilari, abitante del Casone che quella notte ospitò alcuni “ostaggi delle frane” a dormire in casa sua: «Quando a giugno andai a prende alla stazione di Forlì uno dei due austriaci, che era tornato in treno a recuperare l’auto lasciata da noi, volle fermare da un fiorista per comprare un mazzo di rose da regalare a Rita. Ci siamo commossi tutti al Casone per questo gesto di ringraziamento per la solidarietà ricevuta». La seconda risposta arriva da Rita: «Fra gli “ostaggi delle frane” ho creato una chat: ci sentiamo spesso e siamo diventati amici fraterni. Questa è la cosa più bella, un simbolo contagioso, che ha lasciato quella drammatica esperienza».