Intervista. Tajani: «Emergenza natalità, un grande piano Ue»
«L’Europa ha capito. Tutta l’Europa ha capito. Il governo europeo, il Parlamento europeo, gli Stati membri. L’emergenza natalità è sempre più un’emergenza europea e impone una riflessione larga e immediata che porti a un cambio di rotta ». Antonio Tajani spiega con il linguaggio della politica i numeri su cui si regge l’allarme dei demografi. «L’Europa tiene se ogni donna mette al mondo due figli. 2,1 per essere precisi. Tutti i Paesi della Ue sono sotto questo valore... L’Italia è a quota 1,35, la Spagna 1,33, persino la Francia è in calo e si ferma all’1,88». C’è la forza dei numeri e c’è quella delle immagini e delle parole. Il presidente del Parlamento Ue pensa a quelle scelte da Le Figarò che nei giorni scorsi ha deciso di aprire la prima pagina con una foto di un neonato e un titolo che non va tradotto: L’inquiétant déclin de la natalité française.
Presidente, cosa significa una riflessione che porti a un cambio di rotta? La crescita demografica è legata a doppio filo allo sviluppo economico. Se non si torna a fare figli l’Europa si spegne e muore.
Muore? I danni sul sistema pensionistico rischiano di essere terribili. E così le ripercussioni sulla sicurezza sociale degli Stati membri.
Come si determina il cambio di rotta? Serve fare fronte comune per fermare l’inverno demografico. Serve unità nell’Unione tra le grandi famiglie europee. E serve unità in Italia tra le forze politiche. L’emergenza natalità è priorità per tutti, non ci possono essere maggioranza e opposizione.
Lei guida il Parlamento europeo... E farò ogni cosa che rientra nelle mie possibilità per dare una scossa. Penso a un grande piano europeo per la natalità che veda il coinvolgimento di tutti gli Stati membri. Un piano fatto di stanziamenti, non di promesse. Un piano che leghi tutte le grandi questioni che esigono risposte veloci: la disoccupazione giovanile, le nuove politiche di sostegno al lavoro femminile. Guardavo gli ultimi dati italiani con sconcerto. Non è possibile che una donna su cinque dopo aver messo al mondo un bambino perda il lavoro nell’arco di due anni. E non è possibile che il 42 per cento di quelle che restano a lavorare denunci enormi difficoltà nel coniugare impegni familiari e lavorativi.
È una realtà buia... Sì, buia. Perché c’è una questione economica e ce n’é un’altra di libertà violata. Chi vuole mettere al mondo dei figli deve essere messo nella condizione di poterli fare. Io sono diventato padre per la prima volta a trentasei anni, ma è stata una mia scelta. Tanti giovani vorrebbero una famiglia prima e non possono averla. Perché non hanno lavoro, perché non hanno accesso al credito, perché non hanno protezioni. Ecco perché serve un grande patto tra la politica e la società. Che coinvolga le imprese, le banche, le associazioni, le forze vive del Paese.
Un patto per la famiglia... La famiglia è il tessuto connettivo della società, non possiamo costruire una società dove uno ignora l’altro. Dove i nonni non pensano ai nipoti e i nipoti non pensano ai nonni. E la mia è una riflessione laica, da presidente del Parlamento europeo: ogni figlio che nasce è una risorsa per la società. Questo deve essere presente nelle teste e nelle azioni della politica.
A che cosa pensa? Penso che non è più il momento di scelte decise sull’emergenza. Per invertire la rotta servono interventi strutturali e soprattutto serve una politica fiscale attenta alle famiglie. Il quoziente familiare? Il Fattore famiglia? A me basta che passi un principio: chi ha più figli paga meno tasse. Solo così si impone la correzione di rotta. Non con i bonus. Non con le misure spot. Non con promesse irrealistiche. Non con qualche 'una tantum'. Non con una politica assistenzialista.
Il quoziente familiare costa... Sì, costa, ma un fisco attento alle fami- glie è una priorità. Vera. E spero condivisa da tutti. Io dall’Europa farò la mia parte con impegno totale. Porrò nuovamente la questione già dal prossimo Consiglio europeo, convinto di essere capito. Ma il passo vero, e forse decisivo, sarebbe un altro. Conteggiare fuori deficit gli investimenti per un grande piano per la natalità. Non è una fuga in avanti e nemmeno un impegno. Tajani da solo non ha poteri, ma un via libera largo degli stati membri è possibile. Io sono pronto a parlare con il commissario al Bilancio della Ue, Guenther Oettinger. Abbiamo il dovere, come Europa, di mettere a tema la questione natalità. E, come Italia, di premere sull’Unione perché un eventuale sforamento per investimenti per la natalità venga accettato: c’è una situazione drammatica e una 'attenuante' può essere concessa.
Anche perchè in Italia le nascite crollano e si passa da record a record È vero, 473mila nuovi nati nel 2017: meno della metà di quanti ne nascevano cinquant’anni fa. E poi si muore anche di più. Pensavo ai dati del 2016, 134mila italiani in meno rispetto all’anno prima. Come se all’improvviso sparisse un’intera città come Ferrara. E solo l’arrivo dei migranti permette ai conti di stare in piedi. Anche l’immigrazione merita una riflessione seria. È un fenomeno con tante facce che va liberato da elementi ideologici. Bisogna coniugare accoglienza e rigore. Certo serve una politica seria. Serve dire no a una immigrazione incontrollata che porta solo schiavitù e sfruttamento. Non possiamo accettare essere umani pagati 2 euro l’ora. E non possiamo aprire le porte indiscriminatamente. Se vogliamo vera accoglienza, dobbiamo essere anche severi. Doibbiamo guardare i numeri e limitare gli ingressi. Ma, parallelamente, è giusto dire sì a una collaborazione sempre più forte con i Paesi del Sud del mondo. Possiamo lavorare mettendo in contatto le nostre e le loro università. Possiamo creare collaborazione tra imprese. Possiamo dire senza paura che l’immigrato che lavora è una risorsa.