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ELEZIONI. Gelmini (Pdl): «Prima il matrimonio ma diritti pure alle unioni»

Luca Liverani sabato 2 febbraio 2013
Ministro dell’Istruzione nell’ultimo governo Berlusconi, Maria Stella Gelmini si candida alla Camera per il Pdl.Quando si parla di famiglia, a cosa pensa?Per noi la famiglia è quella fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna. Detto ciò, siamo favorevoli al riconoscimento dei diritti civili delle unioni, ma non all’equiparazione con le famiglie. Così come siamo contrari all’adozione per le coppie gay. La posizione del Pdl non è bigotta o conservatrice ma, più della disputa ideologica, ci interessa mettere in sicurezza in tempi di crisi la prima istituzione sociale, baluardo attorno al quale si costruisce la coesione sociale. Gli interventi a favore della famiglia non sono mancati – penso alle agevolazione che la Lombardia ha dato per i mutui delle giovani coppie – ma sono stati sempre frammentari. Serve organicità.Quali sono, realisticamente, le politiche familiari più urgenti?Il primo è il quoziente familiare: a parità di reddito paga meno tasse a chi ha più figli. È una rivoluzione indispensabile per sostenere la natalità. Costerebbe tra gli 11 e i 13 miliardi: oggi la spesa pubblica ammonta a 800 miliardi, il Pdl intende ridurla del 10% in 5 anni. Le risorse necessarie si possono recuperare.E sul fronte dei servizi per la famiglia?Serve la deroga al patto di stabilità per chi investe in asili nido e <+corsivo>welfare <+tondo>per i disabili. Sono competenze degli enti locali, ma nemmeno i Comuni virtuosi e coi conti in ordine possono usare risorse in questa direzione. Bisogna ridare ossigeno al territorio. Senza dimenticare che la cancellazione dell’Imu, libererebbe risorse per le famiglie. È un’imposta municipale che in realtà va in gran parte allo Stato. L’abolizione costerebbe oltre 3,3 miliardi, recuperabili dalla spesa pubblica.<+nero>Maternità e lavoro sono conciliabili?I figli non devono essere una barriera per l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro. Il tasso di occupazione femminile va aumentato puntando sui servizi per l’infanzia: il trattato di Lisbona del 2010 dice che devono esistere asili nido per il 33% dei bambini tra 0 e 3 anni. In Italia siamo al 18%, col Nord al 30% e il Sud - dove più alta è la disoccupazione femminile - all’11%. Oggi fare un figlio è diventato quasi un lusso. E per portare l’occupazione femminile a livello europeo, assieme agli incentivi per le assunzioni a tempo indeterminato, occorrono anche "quote rosa".Se la stabilità sociale è un bene, investire su chi decide di sposarsi è vantaggioso per lo Stato?Sì. Rispettando scelte diverse, chi decide di creare una famiglia si assume responsabilità e oneri che corrispondono con l’interesse dello Stato. La famiglia è un volano per la crescita del Paese, sociale ed economica.