Il “terremoto” euroscettico è arrivato come previsto in Europa, ma è anche vero che il Partito Popolare Europeo conquista una netta vittoria, con un distacco di una trentina di seggi dai Socialisti. E’ doppio il messaggio che arriva da questo voto europeo, con il candidato popolare alla presidenza della Commissione Europea, l’ex premier lussemburghese nonché ex presidente dell’Eurogruppo
Jean Claude Juncker nettamente rafforzato.
Sul fronte euroscettico, spiccano i trionfi - annunciati - di Front National, nettamente prima forza politica in
Francia con il 25% dei voti, seguita con distacco dell’Ump al 20,79% mentre per i socialisti del presidente François Hollande è una vera debacle: il partito socialista è infatti passato al terzo posto con il 13,98%. A poco serviranno le offerte del premier du Parigi, Manuel Valls, che ha parlato di "terremoto" di tagliare ulteriormente le tasse. «Ora vogliamo elezioni anticipate», ha tuonato la leader del Front National Marine Le Pen. Lunedì mattina la Le Pen, entusiasta dei risultati, ha arringato i suoi sostenitori chiarendo che i francesi "non vogliono più essere guidati oltre confine, da commissari e tecnocrati Ue che non sono stati eletti ma vogliono essere protetti dalla globalizzazione e riprendere le redini del proprio destino".Trionfo in
Gran Bretagna per il partito indipendentista Ukip, che sfonda il 30%, «non è solo la Gran Bretagna, ma tutta l’Europa a voler uscire dall’Ue» ha scandito il leader Nigel Farage - nettamente ridimensionati invece i Conservatori di David Cameron, arrivati terzi. In
Germania tiene bene, sia pure con qualche ammaccatura (soprattutto per il netto calo dei bavaresi) la Cdu/Csu di Angela Merkel, con un netto recupero dei socialdemocratici, mentre gli euroscettici dell’Afd arrivano intorno al 6%, meglio di un anno fa alle politiche. In
Spagna in testa sono i Popolari di Mariano Rajoy, seguiti dai socialisti, ma entrambi i partiti devono registrare forti perdite. Colpo di scena in Olanda, dove la destra xenofoba di Geert Wilders anziché quarta come negli exit poll diventa seconda, dietro ai cristianodemocratici. Ma la destra anti-Ue arriva prima anche in
Danimarca. Uno scenario che dovrà far riflettere, anche se oltre due terzi del Parlamento Europeo rimane nettamente nelle mani di forze sostanzialmente pro Ue, mentre i vari gruppi anti-Ue sono estremamente disomogenei e difficilmente potranno formare un gruppo compatto.
L’altro elemento, lo dicevamo, è il distacco molto superiore alle attese dei Popolari rispetto ai socialisti. Anche se, va detto, il Ppe perde circa 5 punti rispetto al 2009. Ppe e Pse continuano a controllare oltre la metà dei 751 seggi del Parlamento, ma certo dovranno far fronte a una pressione senza precedenti degli euroscettici. I consensi dei partiti anti-europei, per altro, sono stati amplificati dalla bassa affluenza (43,1% dal 43% del 2009).«Voglio essere il prossimo presidente della Commissione Europea, rispettiamo la volontà degli elettori», ha detto Juncker. Il quale ha assicurato che cercherà «una maggioranza più ampia possibile» e che non si metterà «in ginocchio di fronte ai socialisti». Questi ultimi, per il bocca del loro candidato alla presidenza della Commissione, Martin Schulz, hanno concesso che «il candidato del primo partito ha diritto a cercare la maggioranza», ponendo però anche molte condizioni, anzitutto «un cambiamento delle politiche Ue» e una «netta lotta all’evasione fiscale».
Della questione discuteranno i presidenti dei gruppi politici martedì mattina, per stabilire chi deve almeno provare a cercare la maggioranza e quali siano le prospettive. Schulz non rinuncia al suo sogno di ereditare la poltrona di José Manuel Barroso al Berlaymont, ma non gli sarà facile trovare un’alleanza che non inclusa i Popolari. Cauti i liberali dell’ex premier belga e anche lui candidato alla presidenza della Commissione Guy Verhofstadt. Il quale punta a diventare l’ago della bilancia.
Certo è che con questo risultato per i leader dei Ventotto sarà più difficile stoppare Juncker e imporre un altro nome fuori dai candidati ufficiali, anche se niente è ancora scontato. Con un vero testa a testa Ppe-Pse le cose sarebbero state diverse. Della questione discuteranno martedì sera i leader dei Ventotto a una cena a Bruxelles, anche se non sono attesi ancora nomi. «Non voteremo -ha promesso Verhofstadt - per un nome che non sia uno dei candidati». «Non mi farò da parte - ha assicurato anche Juncker - per un altra personalità del Ppe», alludendo forse a un nome girato insistentemente in questi giorni, quello dell’attuale direttore generale dell’Fmi Christine Lagarde.
La partita è appena agli inizi, e sarà molto difficile, perché bisognerà far quadrare il cerchio nel Consiglio Europeo - con britannici e ora anche gli ungheresi contrari a Juncker - e all’intero del Parlamento Europeo. Nel peggiore dei casi, si dovrà prolungare di qualche mese il mandato di Barroso.