Ordini dei Medici. «Carenza di camici bianchi, ecco le soluzioni. Ma il governo agisca»
L’abolizione graduale del numero chiuso nelle università, il rinnovo del contratto dei medici, duemila borse di specializzazione in più all’anno. Le misure per invertire l’emorragia generazionale ci sono e i fondi anche: «Basterebbero quelli risparmiati col reddito di cittadinanza e quota 100» spiega il vicepresidente di FNOMCEO (nella foto)
Sull’assunzione dei medici le Regioni tendono al risparmio. In Toscana potranno entrare nei Pronto soccorso degli ospedali, a contratto, giovani laureati senza specializzazione, in Veneto, Umbria, Piemonte e Molise, per sopperire alle carenze di organico si reclutano camici bianchi già in pensione o provenienti da altri Paesi.
La sanità sta diventando “low cost?” Mancano davvero i soldi per garantire uno stipendio dignitoso ai dottori o borse di specializzazione capaci di invertire la rotta dello spopolamento nelle corsie? «Secondo noi i mezzi ci sono, basti pensare alle risorse che si risparmieranno con il reddito di cittadinanza, visto che le domande so- no molte meno di quelle previste dal governo, e anche con “quota 100”, che non dovrebbe essere poi così devastante, per noi medici, come si pensava in un primo momento...» commenta Giovanni Leoni, vicepresidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo), che riunisce i 400mila medici italiani in attività e presidente dell’Ordine dei medici di Venezia.
Ma allora qual è il nodo da sciogliere quando si parla di mancanza di personale medico?
Si gioca tutto sui 60-70 mila potenziali dottori, quelli rimasti nel limbo: ogni anno con i test d’ingresso e il numero chiuso entrano a Medicina, nelle università italiane, solo 10mila studenti, gli altri rimangono fuori. Io partirei da questi ragazzi che vogliono diventare medici. Si fanno tanti discorsi ma forse ci siamo dimenticati di loro... Certo, il numero chiuso non va abolito del tutto, bisogna programmare e aumentare le borse di specializzazione e di formazione in medicina generale.
Sì, però molti laureati poi se ne vanno all’estero, a specializzarsi o a esercitare la professione. Perché?
La nostra categoria è da una decina d’anni senza un nuovo contratto, fare il medico in Italia è diventato poco appetibile e proprio per questo non c’è ricambio generazionale. Abbiamo calcolato che il 15% circa dei neo-dottori se ne va fuori dall’Italia, perché da noi lo stipendio è irriguardoso: in altri Paesi d’Europa si guadagna 2-3 volte di più.
Intanto nei nostri ospedali cominciano ad arrivare pediatri, radiologi, anestesisti, ortopedici e altri specialisti di origine siriana, pachistana, romena...
A me risulta però che molti di questi dopo aver acquisito esperienza da noi se ne tornano al loro Paese di origine, dove magari come medici vivono una condizione migliore, sono più rispettati, anche economicamente. Solo a Venezia, dove io lavoro, ne conosco un paio che hanno fatto questa scelta, pur essendo perfettamente integrati.
Resta il fatto che in Italia non è facile, per un giovane medico, nemmeno specializzarsi.
Dei 10mila neo-dottori che ogni anno escono dalle nostre università solo 6.500 riescono a iscriversi alle Scuole di specializzazione e 3.500 rimangono fuori. Di quelli che entrano, poi, 800 abbandonano il corso perché si accorgono di non aver scelto la specialità giusta, o perché non riescono a sostenere le spese per mantenersi fuori di casa. Sono risorse che non vengono recuperate. Dove finiscono i soldi di quelle borse di studio? Perché non vengono reimpiegate nello stesso settore?
Quali investimenti servirebbero, secondo lei, per favorire la formazione di nuovi medici specialisti? Basterebbero 50 milioni di euro moltiplicati per cinque anni, cioè duemila borse di studio in più rispetto alle attuali.
E “quota 100”? Non sarà un altro colpo di grazia per gli utenti della sanità che si troveranno meno medici di famiglia e meno specialisti negli ospedali?
Ma i camici bianchi mancavano già con l’applicazione della legge Fornero... Certo, la nuova normativa sui pensionamenti aggrava la situazione, però le penalizzazioni sono notevoli, come i vincoli posti alle attività di libera professione. Molti medici che hanno i requisiti non lasceranno: la vocazione per la professione e l'attaccamento ai pazienti sono troppo forti.