L'esperto. Protezioni sempre e sopralluoghi: «Così ci si salva la vita»
Effettuare un sopralluogo 24 ore prima dell’intervento, indossare tutti i Dispositivi di protezione (Dpi) durante il lavoro e, se qualcosa dovesse comunque andare storto, non cercare di prestare soccorso entrando all’interno dello spazio confinato. Sono queste le principali precauzioni da osservare quando si lavora all’interno di silos, vasche e altri ambienti chiusi. Lo ricorda Graziano Galasso, direttore tecnico di Silaq, società di consulenza per la sicurezza del lavoro, che a Peschiera Borromeo, hinterland di Milano, ha realizzato Safeland, una struttura di 1.800 metri quadrati progettata per simulare tutte le possibili situazioni di pericolo sul lavoro (dalla caduta dall’alto all’incendio, dagli spazi confinati allo schiacciamento) e poter così addestrare i lavoratori ad affrontarle con la dovuta cognizione di causa e le precauzioni previste dalla legge.
«Per quanto riguarda gli interventi in spazi chiusi e ristretti – sottolinea Galasso – la normativa è molto chiara: 24 ore prima dell’intervento è previsto un sopralluogo e lo scambio di informazioni tra azienda appaltante e chi dovrà materialmente eseguire il lavoro. Inoltre, la legge indica nel dettaglio i dispositivi di protezione individuale (Dpi) da indossare, tra cui, in casi del genere, la maschera facciale filtrante, adeguata alla tipologia di materiale contenuto, individuato durante il sopralluogo. Passaggio che, purtroppo, non viene quasi mai effettuato. Con le tragiche conseguenze che conosciamo».
Nella tragedia di Casteldaccia, l’elemento killer è l’idrogeno solforato, «un gas per il quale esiste ampia bibliografia e documentazione che ne esprimono la pericolosità e la tossicità, non si sta parlando di un gas sconosciuto, o imprevedibile», sottolinea la presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei fisici e dei chimici Nausicaa Orlandi. «La Federazione – prosegue – in più occasioni ha fatto presente al governo della necessità di qualificare chi possa effettuare valutazioni di rischio di esposizione ad agenti chimici nei luoghi di vita e di lavoro, proprio per tutelare il lavoratore e la collettività da rischi di morte, infortunio, malattia professionale, esplosione» ed è «importante conoscere le dinamiche degli agenti chimici e delle reazioni che possono avvenire per evitare di segnare la vita delle persone e delle loro famiglie. Agenti chimici, agenti cancerogeni e mutageni, agenti tossici per la riproduzione meritano un’attenzione particolare, perché la vita è un bene inestimabile e va tutelata, e per fare questo serve necessariamente la competenza», sottolinea ancora Orlandi.
Pertanto, aggiunge la presidente dei fisici e dei chimici, si «auspica caldamente che il legislatore, di fronte all’ennesima tragedia prenda in seria considerazione la necessità di richiamare il mondo industriale ad affidarsi a professionisti chimici per valutare la salubrità dei luoghi di lavoro, degli spazi confinati, o sospetti di inquinamento prima che in essi accedano operatori a qualunque titolo», conclude Orlandi.
Di «Italia unita dalle stragi sul lavoro, da Brandizzo a Casteldaccia, passando per Bologna e Firenze», parla il magistrato ed ex-direttore dell’Ispettorato nazionale del lavoro, Bruno Giordano. Che sottolinea come queste tragedie «sempre più spesso riguardano squadre di lavoratori in appalto, somministrazione, distacco». «Nel nostro Paese – ricorda – il lavoro uccide cinque volte più della mafia, ferisce una persona al minuto, ma dopo ogni strage si rinnova la retorica del cordoglio alla quale però non fanno seguito maggiori controlli, l’aumento del personale ispettivo, la responsabilità dei committenti. Vengono invece generate norme come quella contenuta nell’ultimo decreto Pnrr, con lo scudo per i datori di lavoro ispezionati, o la patente a punti, dove un operaio morto viene calcolato scalando punteggi, come per la tessera di un supermercato. Lo Stato e, in questo caso, anche la Regione Sicilia, dove v’è un ispettore ogni 39mila imprese, dovrebbero inchinarsi davanti alle famiglie, ai genitori, ai figli di chi è uscito di casa per guadagnarsi da vivere e non tornerà più a casa. Ma, se questo nostro Paese ha ancora una coscienza, allora dopo l’inchino ci vorrebbe un’assunzione di responsabilità istituzionale e realizzare quello che chiediamo da decenni: applicare le norme, fare i processi, tutelare le vittime».
E di «retorica» che non aiuta a «trovare soluzioni», parla il presidente dell’Anmil, Zoello Forni. «Ma quanto vale la vita di un lavoratore e quanto siamo disposti ad accettare che intere famiglie piangano e si trovino in gravi difficoltà a causa della mancanza di sicurezza nei luoghi di lavoro, quella che dovrebbe essere costituzionalmente garantita?» chiede il rappresentante delle famiglie delle vittime del lavoro.