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Memoria. E Riina disse: «Quel prete pensi alle Messe». Palermo ricorda don Pino Puglisi

Antonio Maria Mira venerdì 15 settembre 2023

Un momento della beatificazione di padre Pino Puglisi, a Palermo nel 2013

Gaspare Spatuzza strappa il borsello dalle mani di don Pino Puglisi. E gli grida: «Padre, questa è una rapina!» Il sacerdote lo guarda, sorride e gli risponde: «Me lo aspettavo». Alle sue spalle Salvatore Grigoli gli punta una pistola 7,65 e spara alla nuca. Un colpo solo. Mortale. Così la sera del 15 settembre 1993 viene ucciso il parroco di Brancaccio. Trenta anni fa. Così i due killer di Cosa nostra (oggi si dicono pentiti) inviati da Giuseppe e Filippo Graviano, i boss che dominavano Brancaccio, colpirono «un sacerdote esemplare, dedito specialmente alla pastorale giovanile. Educando i ragazzi secondo il Vangelo vissuto li sottraeva alla malavita e così questa ha cercato di sconfiggerlo uccidendolo. In realtà però è lui che ha vinto con Cristo risorto». Così disse papa Francesco il 26 maggio 2013 in occasione della Beatificazione di “3P” (padre Pino Puglisi), come lo chiamavano i suoi ragazzi. Ucciso “in odium fidei”. E le motivazioni le spiegarono proprio i mafiosi.

Leoluca Bagarella, cognato di Totò Riina, approvò la scelta dei fratelli Graviano, perché «Iddu si tirava i picciotti cu iddu, quindi faceva ’stu dannu, predica tutta ’arnata». Lo stesso Riina, in una intercettazione in carcere del settembre 2013 disse che padre Puglisi «voleva comandare il quartiere. Ma tu fatti u parrinu, pensa alle Messe, lasciali stare... il territorio... il campo... la Chiesa... Cose da non crederci. Tutte cose voleva fare iddu nel territorio». Già, don Pino faceva cose concrete, dal “ripulire” le feste patronali alla battaglia per una nuova scuola nel quartiere, per dare spazi ai giovani, per proporre un’alternativa allo strapotere mafioso.

Realizzò il Centro “Padre Nostro”, luogo di incontro e formazione. Vangelo e fatti concreti. «Dato che non c’è niente - diceva -, noi vogliamo rimboccarci le maniche e costruire qualche cosa. E se ognuno fa qualche cosa, allora si può fare molto». Anche a costo di pagare di persona. E don Pino ne era cosciente. «Il discepolo di Cristo è un testimone. La testimonianza cristiana va incontro a difficoltà, può diventare martirio. Il passo è breve, anzi è proprio il martirio che dà valore alla testimonianza». Minacce, attentati, venne anche picchiato, ma non si fermò. «Non dobbiamo tacere» disse ad alcuni parrocchiani, aggiungendo subito, citando San Paolo, «si Deus nobiscum, quis contra nos», se Dio è con noi chi sarà contro di noi?».

Anzi, padre Puglisi tentò un dialogo coi mafiosi, in una delle ultime Messe, il 25 luglio 1993, per ricordare Paolo Borsellino. «Mi rivolgo anche ai protagonisti delle intimidazioni che ci hanno bersagliato. Parliamone, spieghiamoci, vorrei conoscervi e conoscere i motivi che vi spingono ad ostacolare chi tenta di educare i vostri figli alla legalità, al rispetto reciproco, ai valori della cultura e della convivenza civile».

Aggiungendo: «Voi, che siete abituati ad agire nell’ombra, se siete ancora uomini fatevi vedere alla luce del sole». La risposta fu quel colpo di pistola meno di due mesi dopo.

Molte le iniziative per ricordarlo. Ieri sera in piazzale Padre Pino Puglisi, nel luogo dove venne assassinato, si è svolta una veglia di preghiera presieduta dall’arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice. Oggi alle 18 in Cattedrale, solenne celebrazione eucaristica presieduta dal cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei. Alle 21 sul sagrato della Cattedrale una nuova edizione de “Il Discepolo” di Lia Cerrito, testo molto amato da “3P” e utilizzato spesso durante i campi come spunto di meditazione. Domani alle 21, sempre in Cattedrale, concerto oratorio diretto dal maestro Marco Frisina.