Migranti. Mediterraneo, ancora stragi nel silenzio. In Tunisia 23 morti e 44 dispersi
Nulla è cambiato, almeno per ora. La Tunisia, nonostante accordi e finanziamenti annunciati dall’Europa e dall’Italia per frenare le partenze, resta un porto di partenza aperto per i migranti. E i viaggi significano possibilità sempre più alte di naufragi per chi sogna il Vecchio continente. Le autorità tunisine hanno recuperato lunedì sera 23 corpi privi di vita al largo di Sfax, mentre 44 persone risultano ancora disperse. È solo l’ultimo drammatico bilancio di quanto avvenuto nel Canale di Sicilia tra sabato e domenica. I barchini, nonostante il mare in tempesta, erano stati fatti salpare da Sfax e non hanno potuto nemmeno avvicinarsi alle coste italiane. Complessivamente i salvati, a circa 23 miglia sud-ovest da Lampedusa, sono stati 57. Uomini e donne che nonostante lo choc hanno provato a ricostruire il dramma che hanno vissuto, prima con i mediatori dell’Oim e poi con la squadra mobile.
La conta drammatica
Mentre a terra si contano le vittime, la Guardia costiera di Tunisi prova a mettere in fila i numeri dell’impegno messo in campo per provare a neutralizzare i flussi migratori diretti verso il Mediterraneo. Secondo le autorità del mare locale, sono stati 61 i tentativi di migrazione irregolare sventati dall’1 al 4 agosto, al largo di Sfax, Kerkennah e Mahdia: in tutto sono stati intercettati 2.077 migranti, di cui 365 tunisini. Oltre 35mila migranti sarebbero statio bloccati, in tutto il 2023, dalle forze di polizia, stando ai dati del ministero dell’Interno tunisino. Non solo: anche le operazioni per combattere la tratta dei trafficanti starebbero portando a qualche risultato, secondo la versione ufficiale del governo nordafricano, visto che negli ultimi giorni è stata sgominata un'organizzazione criminale specializzata in operazioni di migrazione clandestina, composta da sedici persone, tra cui alcune donne. Non solo: il governo di Saied respinge risolutamente le accuse secondo cui la Tunisia avrebbe trasferito rifugiati subsahariani ai suoi confini, maltrattandoli, creando quel limbo infernale tra Tunisi e Tripoli di cui parlano osservatori indipendenti, reporter e organizzazioni non governative. Il punto è proprio questo: sono le cifre a dire, al contrario, che nulla ha funzionato (o sta funzionando) in questi mesi. Da gennaio a oggi sono state almeno 903 le persone che hanno perso la vita o sono scomparse nel tentativo di attraversare il Mediterraneo dalla Tunisia. I dati si trovano nell’ultimo rapporto del Forum tunisino per i diritti economici e sociali. Proprio il fatto che siano stati 6.087 i migranti, tra i quali 1.526 minori, che nello stesso periodo sono riusciti ad arrivare in Italia, dimostra quanto sia pericolosa la rotta che unisce Sfax alla Sicilia. Per Unicef, sono stati 289 i bimbi scomparsi durante le traversate in sei mesi.
Il Viminale: irregolari fuori
Anche le cifre del Viminale sugli sbarchi avvenuti nell’anno in corso parlano da sole: al 7 agosto gli arrivi sono stati 93.685 contro i 44.637 dello stesso periodo di un anno fa, con un picco impressionante di approdi di minori stranieri non accompagnati, ormai vicino a quota 10mila. L’hotspot di Lampedusa resta il cuore dell’emergenza: 2.250 le persone presenti. «Nonostante i numeri siano alti, la situazione è sotto controllo perché, condizioni meteo permettendo, in queste ore ci saranno altri trasferimenti» ha spiegato la Croce Rossa Italiana, che gestisce la struttura, in una nota. «In due mesi dal primo giugno quando la Croce Rossa Italiana ha preso in gestione l’hotspot, sono state oltre 32mila le persone accolte e oltre 30mila le persone trasferite». Proprio quel che accade dopo la primissima accoglienza, però, continua a far discutere sui territori, con i Comuni messi in difficoltà dal trasferimento improvviso (e spesso non annunciato) di stranieri, molti dei quali under 18, attraverso pullman organizzati dal Sud verso il resto d’Italia. Per il ministero dell’Interno, in questa fase, il focus resta quello degli irregolari. «Vanno espulsi - ha ribadito il ministro Matteo Piantedosi - . Non lo penso io, lo dice la legge».