Afghanistan . Migliaia in fuga, l'aeroporto di Kabul ancora nel caos. Dramma umanitario
Profughi afghani in arrivo da Kabul sbarcano a Madrid
Aeroporto di Kabul. Scene dall’apocalisse. Spari, calca, lacrimogeni e una folla di diecimila persone che preme per entrare nella speranza di trovare posto sugli aerei in partenza. Quella di ieri è stata un’altra giornata caotica nello scalo internazionale della capitale afghana, doppiamente preso d’assedio. Da un lato chi tenta di fuggire, dall’altro i taleban che non hanno nessuna intenzione di fare da semplici spettatori dell’esodo. E infatti la cronaca registra anche il ferimento di un cittadino tedesco (non in pericolo di vita), oltre alla ricerca casa per casa di attivisti per i diritti umani da parte dei nuovi padroni dell’Afghanistan. Spesso, ha detto la ministra degli Esteri olandese, Sigrid Kaag, i governi non sanno su quali aerei si trovano i loro cittadini evacuati.
Drammatica la testimonianza di Alberto Zanin, coordinatore medico di Emergency dell’ospedale di Kabul. «Ci sono circa 10mila persone tra dentro e fuori l’aeroporto che cercano di prendere voli di evacuazione – ha riferito nel quotidiano punto stampa –. E il 90 per cento dei feriti per colpi di armi da fuoco che arrivano da noi sono civili. L’aeroporto è l’unico posto dove continuano a esserci caos e scontri a fuoco. Secondo il nostro staff che in parte abita vicino all’aeroporto, rimane una situazione di estrema tensione».
Tensione e preoccupazione che caratterizzano anche il lavoro di chi, all’interno dell’areoporto, deve aiutare quanti ne hanno diritto a imbarcarsi. È il caso del console italiano Tommaso Claudi. «La principale difficoltà – ha spiegato ieri alle agenzie di stampa – consiste nel far accedere i nostri connazionali e i nostri collaboratori afghani ai cancelli dove si accalca la folla che vuole entrare.
Una situazione difficile, la cui gestione richiede una forte coesione tra tutte le componenti nazionali che operano a Kabul e a Roma: Esteri, Difesa, Servizi di informazione». La scelta di chi parte e di chi resta, spiega il console, viene fatta sulla base di liste elaborate da tempo (sono i collaboratori del nostro contingente militare e dell’Ambasciata), cui si aggiungono nuovi casi umanitari, in particolare «attivisti esposti per l’impegno a favore delle donne e delle minoranze».
Secondo Claudi, nella capitale afghana «ci sono attualmente 20 italiani, soprattutto professionisti nel campo del sostegno umanitario. La quasi totalità – spiega – è impegnata con Ong italiane e straniere e ritiene che, proprio nel momento di maggior crisi, sia necessaria la loro presenza».
Diverse centinaia sono invece gli evacuati già giunti in Italia. Anche ieri il ponte aereo è proseguito, con gli arrivi a Fiumicino, via Kuwait. E si intensifica la gara di solidarietà, sia in ambito ecclesiale che civile, per ospitare i rifugiati. In prima fila i sindaci di tutte le regioni, che si sono detti disponibili all’accoglienza.
A Milano, intanto, prima notte tranquilla per il gruppo di 34 profughi, cui presto se ne aggiungeranno altri 20. Si tratta delle otto dottoresse che lavoravano al centro della Fondazione Veronesi di Herat, con i loro mariti e i figli. Nei primi messaggi esprimono «immensa gratitudine» e riferiscono di essere ora «molto più sereni».
A Edolo, in provincia di Brescia, ci si prepara invece ad ospitare 120 persone presso la base logistico-addestrativa dell’esercito, dove i profughi effettueranno la quarantena sotto la sorveglianza della Croce Rossa. La base può contenere fino a 300 persone. «È nostro dove non abbandonare chi ci ha aiutato», ha detto ieri il sindaco Luca Masneri.
Analoghe offerte di ospitalità giungono da Ferrara e da Cinisello Balsamo, Bari e molti altri comuni. Mentre a Roma sette famiglie afghane con donne e bambini, per un totale di 48 persone, verranno ospitate in strutture individuate nell’ambito del Sistema accoglienza e integrazione (Sai).
«La comunità internazionale deve accelerare e semplificare le procedure di visto per gli afghani che temono per la loro sicurezza e che desiderano lasciare il Paese», auspica in un appello Save the Children International.