Il Colle e non solo. Acquaviva: Draghi resti. Al Quirinale uno della Prima Repubblica
Gennaro Acquaviva, oggi è presidente della fondazione Socialismo
«Stiamo scherzando col fuoco. Si rischia un salto nel buio», per Gennaro Acquaviva. Ex senatore, 86 anni, proveniva dalle Acli di Livio Labor che scompaginarono l’unità politica dei cattolici, aderì al partito socialista e divenne consigliere politico di Bettino Craxi: «I cattolici si diano da fare per un’intesa sul capo dello Stato», è il suo auspicio. E Acquaviva è uno che di trattative se n’intende: fu fra gli artefici della revisione del Concordato siglata nel 1984 proprio da Craxi, allora presidente del Consiglio, e dal cardinale Agostino Casaroli, segretario di Stato vaticano. Conclusa l’attività parlamentare a metà anni ’90, dopo la traumatica uscita di scena del leader del Psi, senza riciclarsi nei tanti rivoli in cui si è dissolta l’esperienza socialista si è dedicato alla ricerca storica e alla formazione politica: «Cerco di coltivare la memoria e l’attualità di una grande tradizione politica. In Italia la parola socialista non si può più pronunziare, poi però tutti vogliono aderire al Partito socialista europeo... ». È presidente della Fondazione "Socialismo" che ha dato alla luce ben 12 volumi, senza rinunciare mai alla sua formazione di cattolico, molto legato - da tempo - all’arcivescovo di Bologna, il cardinale Matteo Zuppi («Ha sposato i miei figli e battezzato i miei nipoti »). Il mese scorso, a Verona, ha avuto un pubblico faccia a faccia con lui su "Chiese e politica in Italia".
È corretto definirla artefice della revisione del Concordato?
Diciamo che ho svolto un ruolo abbastanza importante. I socialisti avevano un’impostazione laicista, segnata storicamente anche da legami con la massoneria. Con Livio Labor e Luigi Covatta in polemica con la Dc 'dorotea', eravamo usciti nel 1970 tentando un’avventura in proprio con il Movimento politico dei Lavoratori, ma fallimmo, riportando solo 120mila voti, e avevamo aderito al nuovo corso socialista. Il Concordato andava modificato dopo il 1947, era obsoleto che i sacer- doti 'dipendessero' dallo Stato attraverso la 'congrua', strumento ottocentesco di derivazione napoleonica, d’altro canto si ritenevano da ambo le parti superate alcuni aspetti tra cui l’insegnamento obbligatorio della religione. Occorreva intervenire, e così Craxi - che per indole si fidava poco dei preti - si rivolse a me: in quella situazione ero per lui l’interlocutore naturale. Ci si mise al lavoro, il professor Margiotta Broglio fu il principale artefice sul piano tecnico, ma anche Giulio Tremonti, allora socialista, fu importante per la 'sistemazione' fiscale e finanziaria da trovare, mentre da parte vaticana, soprattutto in fase attuativa, fu preziosissimo l’allora monsignor Attilio Nicora, anche perché era stato avvocato prima di diventare sacerdote e agì con grande competenza. Divenimmo anche grandi amici.
C’entra quella vicenda col momento che vive oggi il Paese, dal quale non si sa come uscire?
C’entra, perché nel riformare il Concordato, all’articolo 1, lo Stato e la Chiesa, pur ribadendo di dover rimanere «ciascuno nel suo ordine indipendenti e sovrani», si impegnarono alla «reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese». Un impegno poi mantenuto. Il ruolo dei cattolici, in particolare, è sempre stato determinante nell’elezione del capo dello Stato. Fin dai tempi di De Gasperi, che aveva proposto Carlo Sforza, poi, dal momento che era massone, come si sa, e viste le resistenze venute proprio dalla Chiesa, scelse Luigi Einaudi. Senza rinunciare però all’idea di coinvolgere la componente laica e liberale del Paese.
Serve anche oggi condivisione. Ma si fatica a trovare la strada.
Non so dare consigli, ho solo un po’ di esperienza a guidarmi. Ma non vedo quel clima di solidarietà, difficile da creare già allora, per la verità. Manca un punto di riferimento stabile per tenere insieme i valori liberali, solidaristici e cristiani che hanno unito il nostro Paese. Nella Prima repubblica, con tutti i difetti che hanno portato alla sua dissoluzione, i partiti erano delle famiglie, ora manca una solidarietà interna, prima ancora che esterna, e dei principi comuni per assumere un’iniziativa autorevole, adeguata ai tempi difficili che viviamo.
Lei quindi ha ipotizzato che possa essere proprio Draghi il regista, il "king maker". Ne è ancora convinto dopo che ha detto a chiare lettere che, se i partiti non si svegliano, lui è pronto a tornare a fare il nonno?
Sono convinto che Draghi debba continuare nel suo ruolo, per il bene del Paese. Ha compiuto un mezzo miracolo, ma è a metà del lavoro, bisogna porre le condizioni per andare avanti ancora almeno altri 12 mesi, fino alla fine naturale della legislatura.
Anche perché, un presidente che non garantisca questo, i parlamentari è difficile che lo votino...
Non so se le parole di Draghi che hanno manifestato una sua disponibilità ad andare al Quirinale abbiano cambiato le cose. Per parte mia resto convinto che serva un messaggio e un soggetto autorevole, che superi la confusione dei partiti e li spinga a trovare un accordo. Un 'attore collettivo'. E visto lo stato in cui sono i partiti, la perdita di autorevolezza del Parlamento, e la mancanza di un partito che faccia da collante, come un tempo la Dc, non vedo altri, se non Draghi, che possa favorire questo processo.
Siamo in ritardo.
Ma si fa ancora in tempo. Temo ne abbia poca voglia, tuttavia ritengo necessaria una sua iniziativa.
Come giudica la presidenza Mattarella? Si è vista l’impronta della sua formazione cattolica?
È stato un ottimo presidente, garante della continuità in un momento straordinariamente difficile. Ha agito con forza ed equilibrio. Un cattolico della migliore tradizione, che ha saputo rapportarsi con la componente laica liberalsocialista del Paese.
Detto della sua preferenza per Draghi a Palazzo Chigi fino al 2023, resta il rebus Quirinale. Che identikit vede?
Un uomo esperto e competente, se vuole protagonista nella Prima Repubblica. Una lunga e positiva fase politica che ha fatto il bene dell’Italia e che potrebbe esser ancora utile. Ma anche una figura più giovane potrebbe andar bene, senza perdere altro tempo. Il Paese è molto mal messo, ed è necessario garantire il prosieguo di questa proficua stagione di condivisione e dialogo guidata da Draghi e Mattarella. Per questo auspico sommessamente che i cattolici si facciano sentire, che agiscano illuminati da quell’impegno assunto nel 1984.