Il dossier. Così vengono usati i beni confiscati alle mafie
Sono quasi mille, ben 991, i soggetti diversi impegnati nella gestione di beni immobili confiscati alle mafie, in 18 regioni, in 359 comuni. È la bella Italia che contrasta i clan con fatti concreti, raccontata il dossier di Libera “Raccontiamo il bene - Le pratiche di riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie” che vuole raccontare, dopo 27 anni dall’approvazione dell’importantissima legge 109 del 1996, “il Belpaese, dove in silenzio, opera una comunità alternativa a quelle mafiosa, che lavora e si impegna a realizzare un nuovo modello di sviluppo territoriale”.
Secondo i dati dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (al 25 febbraio 2023) sono 19.790 i beni immobili confiscati e destinati, mentre sono 24.529 quelli ancora in gestione da parte dell’Agenzia e in attesa di essere destinati. Sono invece 1.761 le aziende confiscate e destinate mentre sono 3.366 quelle ancora in gestione.
La “nuova vita” dei beni mafiosi
Più della metà delle realtà sociali che gestiscono beni confiscati è costituito da associazioni di diversa tipologia (525) mentre le cooperative sociali sono 217 (con 5 cooperative dei lavoratori delle aziende confiscate e 26 consorzi di cooperative), realtà di lvoro vero e pilito. Tra gli altri soggetti gestori del terzo settore, ci sono 13 associazioni sportive dilettantistiche, 30 enti pubblici (tra cui aziende sanitarie, enti parco e consorzi di Comuni che offrono dei servizi di welfare sussidiario dati in gestione a soggetti del terzo settore), 40 associazioni temporanee di scopo o reti di associazioni, 59 realtà del mondo religioso (diocesi, parrocchie e Caritas), 31 fondazioni private e di comunità, 17 gruppi dello scautismo e infine 30 istituti scolastici di diverso ordine e grado. La regione con il maggior numero di realtà sociali che gestiscono beni confiscati alle mafie è la Sicilia con 267 soggetti gestori, segue la Campania 162, la Calabria con 148, la Lombardia con 141, l’ennesima dimostrazione di come le mafie siano davvero ovunque, soprattutto con gli investimenti economici. Il 40% riguarda appartamenti, abitazioni indipendenti, immobili; il 18% ville, fabbricati su più livelli e di varia tipologia catastale, palazzine; il 19% terreni agricoli, edificabili e di altra tipologia (anche con pertinenze immobiliari); il 10% locali commerciali o industriali, capannoni, magazzini, locali di deposito, negozio, bottega, uffici. Ma quale è la nuova vita di questi beni? Il 57% dei soggetti gestori svolgono attività che sono direttamente legate a servizi di welfare per la comunità; il 27% si occupano di promozione del sapere, del turismo sostenibile e della cultura e il 10% sono nel mondo dell’agricoltura. Ottantotto soggetti gestori hanno scelto di intitolare la loro esperienza a una vittima innocente delle mafie, 54 al Sud, 30 al Nord e 4 al Centro. “Sono i luoghi della memoria - scrive Libera -, elementi simbolici che stabiliscono, individualmente e collettivamente, relazioni profonde con chi ne fa esperienza”.
Il valore del riutilizzo
Si tratta, commenta Tatiana Giannone, responsabile nazionale Beni Confiscati di Libera, di “una rivoluzione silenziosa, che accompagna i desideri e i bisogni delle nostre comunità, che alimenta l’energia di un presente sostenibile e inclusivo. Producono un’economia sana e pulita, che non guarda al profitto ma allo sviluppo della persona e delle sue abilità, un’economia sostenibile e con la mano tesa verso l’ambiente”. Ma Libera dopo in dossier non si ferma. L’intenzione è di arrivare a una grande assemblea nazionale, con tutti i soggetti che lavorano sui beni confiscati alle mafie e ai corrotti. Anche per respingere gli attacchi alla normativa sulle misure di prevenzione e sul riutilizzo, che riteniamo uno degli strumenti più importanti per il contrasto alle mafie e alla corruzione. “Servono, invece, strumenti sempre più precisi e sistematizzati per gestire il grande numero di beni immobili e di aziende confiscate, per poter trasformare questo patrimonio in vera opportunità per il Paese”.
I finanziamenti del Pnrr
Sono 254 i progetti finanziati dal Pnrr che coinvolgono 166 Enti destinatari di beni confiscati in 6 regioni del Sud, Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia. Un piano di investimento complessivo di 300 milioni di euro, suddiviso su due linee: la prima, con una dotazione finanziaria di 250 milioni e regolata da un Avviso pubblico; la seconda, con una dotazione di 50 milioni, a valere su una procedura concertativo negoziale. Sui 254 progetti finanziati, 242 sono relativi all’Avviso e sono stati finanziati complessivamente con 249.151.509 euro. I restanti 12 progetti sono stati approvati a valere sulla procedura negoziale e ad essi sono andati complessivamente 50.206.670 euro. In termini percentuali, la Basilicata si vede approvato il 100% dei progetti presentati (3 su 3). Molto alta la percentuale anche in Abruzzo con il 59% di progetti approvati (40 su 93). Seguono la Calabria (46%, 59 progetti approvati su 128 presentati), la Puglia (43%, 40 su 93), la Campania (42,6%, 75 su 176), e la Sicilia il 36,5% (64 su 175).
I beni si raccontano
Libera ha lanciato una nuova campagna partita il 24 gennaio scorso per contare e raccontare il valore e i valori di questo mondo variegato e articolato. Così è stato chiesto ai soggetti gestori di beni confiscati di compilare un questionario in grado di scattare una fotografia aggiornata di quanto si muove attorno al tema del riutilizzo pubblico e sociale dei beni confiscati. Dopo solo un mese dall’avvio del monitoraggio 95 soggetti gestori hanno risposto al questionario proposto. In totale, gestiscono oltre 160 unità immobiliari confiscate, in 15 regioni diverse e in oltre 50 comuni. Hanno sviluppato un capitale sociale di 481 persone impiegate, 618 volontari coinvolti e oltre 900 beneficiari (19,5% giovani, 16% cittadinanza, 10% disabili psico-fisici, 9% migranti). I soggetti hanno risposto anche sulle principali criticità riscontrate nella gestione del bene: al primo posto il degrado e/o abbandono delle strutture (28,24%) seguono le difficoltà economiche (28,24%), le difficoltà burocratiche (20,61%), i furti e/o spoliazioni 9,16%, e danneggiamenti ritorsivi 7,63%.
Le proposte
Per superare le criticità Libera fa alcune proposte: accrescere il livello di trasparenza delle Pubbliche Amministrazioni in materia di beni confiscati, affinché la piena conoscibilità dei dati e delle informazioni possa essere da stimolo per la partecipazione democratica dei cittadini e delle cittadine; coinvolgere il terzo settore come presupposto per tutti gli interventi normativi pubblici e per gli interventi di sostegno finanziario pubblici e privati; mettere a sistema tutti i finanziamenti pubblici (locali, nazionali e di derivazione europea) che possono trovare negli immobili confiscati strumenti di realizzazione delle politiche pubbliche e in particolare le risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza Next Generation Eu, la valorizzazione dei beni confiscati non dovrà riguardare soltanto opere di ristrutturazione e ri-funzionalizzazione, ma comprendere la fase di start up e di gestione delle esperienze di riutilizzo, così come, gli interventi di sostegno dovranno interessare tutte le Regioni e non solo il Sud e le Isole; il Codice Antimafia deve essere attuato in tutte le sue positive innovazioni, quale strumento efficace di contrasto patrimoniale alle mafie con l’effettiva estensione ai corrotti delle norme su sequestri e confische previste per gli appartenenti alle mafie; garantire il diritto al lavoro, sostenendo le esperienze dei workers buyout e di cooperative di lavoro nate all’interno di aziende sequestrate e confiscate, garantendo la tutela dei lavoratori delle aziende sequestrate e confiscate e un supporto adeguato al fine della loro continuità imprenditoriale.