Lo scenario. Dopo l'accordo, il governo alle prese con tempi, Mes e riforme
Visibilmente soddisfatto per l'intesa dopo cinque giorni di negoziati, il premier Giuseppe Conte ha piazzato due paletti prima di rientrare in Italia. Il primo, «il governo è più forte», è un appello alla maggioranza a valorizzare il risultato e a non perdersi, già tra poche ore, nelle polemiche quotidiane. Il secondo, «ora potrà esserci meno morbosità sul Mes», rappresenta la richiesta di una tregua sul tema più controverso. Allontanato certo, ma non eliminato del tutto. Temi che certamente sono stato oggetto anche del confronto che il premier ha avuto stamattina con il presidente della Repubblica, prima tappa al rientro in Italia.
Centrale è la questione dei tempi con cui il Recovery fund dispiegherà la sua forza in Italia. I fondi non arriveranno prima del 2021, e questa è la certezza. Motivo per cui il capitolo Mes non è ancora chiuso: è vero che dalla nuova allocazione delle risorse Roma può ricorrere a 37 miliardi di prestiti in più, ma se dovessero esserci difficoltà di bilancio da qui alla fine dell'anno, il ricorso al prestito sanitario del salva-Stati resta un'opzione sul tavolo.
Inoltre, il Recovery fund avrà una condizionalità forte: l'effettiva realizzazione delle riforme. L'Italia presenterà il proprio piano di rilancio e resilienza a settembre, sulla base del Pnr (Piano nazionale delle riforme) ora all'esame delle Camere e alla luce degli Stati generali convocati qualche settimana fa da Conte a Villa Pamphili. Il problema non sono gli investimenti che si vogliono finanziare, ma le riforme, appunto. Si è ben capito che le resistenze olandesi - ed europee più in generale - vanno a fondarsi su misure come quota 100. Prima o poi, l'esecutivo dovrà mettere nero su bianco cosa vorrà fare nel 2021, quando quota 100 si spegnerà: ritorno tout court alla riforma-Fornero o una nuova via di mezzo? I fari europei, anche della Commissione che è certamente più amica di Roma dei "frugali", sono ben accesi su questo punto.
Sulla capacità di individuare gli investimenti e realizzare le riforme gira l'intero dibattito in maggioranza. Pd, M5s e Iv hanno salutato l'accordo europeo come un successo. Ma Zingaretti e Renzi sono andati oltre. Il leader dem chiedendo ora «velocità», e non è una parola a caso. L'ex premier inistendo sul Mes. Una doppia tenaglia sul punto fondamentale: la capacità che avrà ora Conte di completare la "transizione europeista" del Movimento cinque stelle.
L'accordo europeo modifica ancora gli assetti nell'opposizione. Era noto il tifo di Forza Italia per un accordo europeo: ora il partito di Berlusconi continua il suo martellamento sulla capacità della maggioranza di spendere i fondi e fare le riforme, nel tentativo di farsi spazio nella maggioranza. Anche se, dopo l'accordo europeo, questa ipotesi è quantomeno congelata dallo stesso Conte. Il punto nuovo è che Salvini è più isolato nei suoi attacchi all'Europa. Il leader della Lega non riconosce quello di Conte come un successo, sottolinea la riduzione complessiva dei sussidi e le condizionalità, che lui definisce «tagli lacrime e sangue». Molto diverse le parole di Meloni: «Conte ha battuto gli egoismi del Nord ma il risultato è inferiore alle attese». Ora il centrodestra chiede l'incontro con il premier. Incontro che dovrà esserci, prima o poi: perché il piano di ricostruzione e il Recovery fund avranno una durata superiore a quella dell'attuale legislatura.