Campania. Dopo le violenze in carcere «ora serve un cambiamento». Accuse e polemiche
Un carcere
Non è ancora finita. Anzi. Oltre alla bufera politica – in cui finisce anche l’ex ministro della Giustizia Bonafede – emergono altri particolari su quanto avvenne il 6 aprile 2020 nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. A raccontarli, in un nuovo video che fa il giro di tutte le tv, è Vincenzo Cacace, detenuto in sedia a rotelle presente il giorno della perquisizione straordinaria degenerata in violenza di massa: «Sono stato il primo ad essere tirato fuori dalla cella insieme con il mio piantone, dato che sono in queste condizioni. Ci hanno massacrato, hanno ammazzato un ragazzo (il riferimento è a un detenuto oggetto del pestaggio e messo in isolamento, poi in realtà deceduto per abuso di sostanze stupefacenti, ndr). Hanno abusato di un detenuto. Mi hanno distrutto, mentalmente mi hanno ucciso. Volevano farci perdere la dignità». Il racconto è concitato, tanto che l’uomo finisce col confondere la funzionaria presente («Anche lei aveva il manganello») con la direttrice Elisabetta Palmieri, assente invece per malattia il 6 aprile 2020 e nei giorni successivi.
Al vaglio della procura di Santa Maria Capua Vetere, in ogni caso, ci sono anche le comunicazioni che intercorsero all’epoca dei fatti tra l’allora direttore del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Francesco Basentini, e il provveditore alle carceri della Campania, Antonio Fullone, che è coinvolto nelle indagini. «Hai fatto benissimo», scriveva l’ex capo del Dap a Fullone in riferimento alla perquisizione straordinaria disposta dal provveditore nel carcere di Santa Maria a poche ore di distanza da una rivolta dei detenuti. In quelle chat Fullone parla di «segnale forte» da dare all’interno dell’istituto, senza fare però riferimento alle violenze accertate dalla procura attraverso l’impianto di videosorveglianza del penitenziario.
Ma le violenze nel carcere campano stanno diventando a ogni ora che passa un affare sempre più politico. Prova ne sia l’arrivo all’istituto, ieri pomeriggio, del segretario della Lega Matteo Salvini. Che si è intrattenuto a lungo con gli agenti della polizia penitenziaria e con i loro rappresentanti sindacali. «Sono qui a ricordare che chi sbaglia paga, soprattutto se indossa una divisa – ha detto il leader della Lega –. Questo però non vuol dire infangare e mettere a rischio la vita di 40mila agenti della polizia penitenziaria che rendono il Paese più sicuro. La giustizia faccia il suo corso, e se ci sono stati abusi e violenze vanno puniti con nomi e cognomi. Però non accetto gli insulti, gli attacchi agli agenti, che stanno arrivando in queste ore anche dai clan della camorra».
Tra gli applausi degli agenti di custodia, Salvini ha ricordato che « “mattanza” (questo il termine utilizzato dal giudice per le indagini preliminari per definire le violenze perpetrate dagli agenti ai danni detenuti, ndr) sono anche le 400 aggressioni subite dagli agenti della penitenziaria nelle carceri italiane». È la sponda che cercava il segretario del sindacato di polizia penitenziaria Sappe, Emilio Fattorello: Respingiamo la gogna mediatica, pur prendendo le distanze da quelle immagini, nelle quali si vede la frustrazione della polizia penitenziaria. La situazione è tecnicamente sfuggita di mano, come a Bolzaneto». Anche la direttrice del carcere, Elisabetta Palmieri, ha definito «inammissibili» le violenze, pur contestualizzando l’episodio: «Nei giorni precedenti, i detenuti in rivolta si erano impadroniti di alcune sezioni».
Pesante, invece, il richiamo dell’ispettore generale dei cappellani delle carceri, don Raffaele Grimaldi: occorre ripensare subito il carcere «non come luogo di repressione ma luogo di riscatto, per aiutare i ristretti a vivere il cambiamento, favorendo il più possibile le misure alternative alla detenzione». Dall’altro lato non bisogna abbandonare a se stessa la polizia penitenziaria, «che svolge una difficile missione». Gli agenti «hanno bisogno di sostegno, di vicinanza, ma soprattutto una formazione permanente e un confronto franco di come gestire le criticità, senza commettere illegalità rispettando le leggi». «Il sovraffollamento poi «rende le nostre carceri polveriere di rabbia difficili da gestire». L’impegno da perseguire è allora, scandisce il sacerdote, «riportare umanità e dignità nei nostri istituti».