Salario minimo. Donne, giovani e contratti pirata. Il lavoro povero divide la politica
L'incontro tra governo e opposizione sul salario minimo
Vietato pagare meno di 9 euro lordi l’ora. In pillole è questo il senso della proposta di legge depositata alla Camera lo scorso 4 luglio da tutti i gruppi di opposizione (Pd, M5s, Sinistra/Verdi, +Europa e Azione ma non da Iv) e considerata non ricevibile dal governo. Dopo un passaggio in Commissione, quando la maggioranza sembrava decisa ad affossare subito il testo, si è scelto di rinviare l’esame a settembre e aprire una finestra di confronto.
La proposta delle minoranze mantiene come punto di riferimento principale del sistema salariale il contratto collettivo nazionale firmato da sindacati e imprese che fissa il trattamento economico complessivo nelle sue diverse voci (minimo retributivo, anzianità, Tfr, ecc.) a cui ha diritto il lavoratore. Ma introduce il vincolo del minimo orario, che non potrà scendere appunto sotto i 9 euro. Sul resto continuerebbero a mettersi d’accordo le parti.
Non è la prima volta che il salario minimo è al centro del dibattito politico. La prima proposta di legge in tal senso è arrivata nella scorsa legislatura dal M5s, seguito poi dal Pd. Con Draghi a Palazzo Chigi, l’ex ministro Andrea Orlando stava per presentare un testo ma Lega e FI frenavano e la caduta repentina del governo ha chiuso la partita.
La necessità di introdurre il salario minimo, secondo i promotori, deriva dall’acuirsi delle diseguaglianze salariali, dall’aumento del lavoro povero e dalla perdita di terreno delle retribuzioni italiane nel confronto internazionale. A farne le spese sono stati soprattutto i salari delle lavoratrici e dei giovani, in particolare nei settori a bassa qualificazione come il commercio al dettaglio, i servizi ed il turismo. Una dinamica alimentata dalla frammentazione dei settori produttivi e dalla moltiplicazione delle forme di lavoro atipico.
E soprattutto dal proliferare dei contratti pirata stipulati da sindacati minoritari, che finiscono per condizionare al ribasso anche i contratti firmati da Cgil, Cisl e Uil, che pure restano largamente maggioritari per numero di addetti coperti (oltre il 95%). Secondo l’Inps, i lavoratori sotto la soglia dei 9 euro l’ora (comprensivi di 13esima) sono 2 milioni 841 mila. E ben 172mila titolari di un rapporto di lavoro attivo hanno avuto necessità di ricorrere al Reddito di cittadinanza.
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In base alla proposta di legge il minimo orario dovrebbe entrare in vigore dal novembre 2024 e sono previsti sostegni (da disporre con la legge di bilancio) per le imprese dei settori dove i bassi salari sono più diffusi. Il lavoro di assistenza alla famiglie (per colf e badanti il salario è ben al di sotto dei 9 euro l’ora) viene escluso per ora dal vincolo.
Parti sociali divise. Una parte dei sindacati, in particolare la Cisl, teme che la soglia minima fissata per legge porti a uno schiacciamento al ribasso dei salari medi e che la contrattazione esca ridimensionata nel nuovo assetto. La Cgil è invece favorevole alla proposta ma chiede che la rappresentanza sindacale sia misurata per legge. Confindustria non sostiene il salario minimo ma nemmeno fa le barricate, facendo notare come i contratti del settore industriale sarebbero tutti sopra la cifra minima dei 9 euro lordi. Contrarie le associazioni del commercio e delle pmi.
Il pressing Ue. L’Unione europea ha approvato lo scorso anno una direttiva per promuovere salari minimi adeguati e contrastare il lavoro povero. Bruxelles non obbliga espressamente a introdurre una soglia minima oraria. L’obiettivo può essere perseguito anche attraverso un rafforzamento della contrattazione collettiva. Per l’Italia, dove i contratti di categoria coprono ben più dell’80% dei lavoratori dipendenti, la direttiva non costituisce quindi un vincolo stringente. Il governo potrà limitarsi a cercare di estendere e valorizzare i salari contrattuali. Nella Ue l’Italia è uno dei cinque Paesi che non prevedono un limite minimo di retribuzione, in compagnia di Austria, Danimarca, Finlandia e Svezia. Gli altri 22 paesi hanno introdotto una soglia minima che risulta estremamente differenziata. È molto bassa nell’est europeo mentre nei Paesi più comparabili con l’Italia il salario minimo va dai 12 euro di Germania e Belgio ai circa 11 euro in Irlanda, Francia e Olanda. In Spagna è stato aumentato a 1.080 euro mensili (per 14 mensilità), poco meno di 8 euro l’ora.
Il caso Germania. Prima della introduzione del salario minimo legale la Germania presentava un sistema salariale simile a quello italiano, dove la fissazione dei minimi era demandato ai contratti nazionali di categoria. Da 2015 è entrato in vigore il salario minimo per legge, fissato inizialmente a 8,5 euro l’ora. Ogni due anni la soglia viene aggiornata. Lo scorso anno, con l’aumento dell’inflazione il governo di Berlino ha deciso di aumentare il salario minimo prima a 10,45 e poi, dall’ottobre scorso, a 12 euro l’ora. L’introduzione della soglia legale - nonostante i timori della vigilia - non ha frenato l’economia e l’occupazione. Tra il 2015 e il 2019, il Pil tedesco è cresciuto in media dell’1,7%, il tasso di occupazione è passato dal 73 al 75,6%; e il salario medio è aumentato da 57.400 dollari a 60.700.