Il libro. Don Peppe Diana in 52 ricordi. «Così la sua terra si è riscattata»
Cinquantadue autori, cinquantadue ricordi, cinquantadue testimonianze, per raccontare un unico personaggio, don Peppe Diana. Ma anche la storia di una terra che dopo l’uccisione il 19 marzo 1994 del parroco di Casal di Principe, ha reagito, resistito, riscattato, raccogliendo il testimone del sacerdote.
È il libro 'Frammenti di memoria. Venticinque anni di cammino nel segno di don Diana' (Marotta&Cafiero editori, casa editrice di Scampia), promosso dal Comitato Don Peppe Diana nell’ambito delle iniziative del 25° anniversario dall’assassinio. Un libro non solo per ricordare, come sottolinea nella prefazione, Tina Cioffo tra le fondatrici del Comitato. «La memoria di don Peppe Diana è stato un collante così come l’impegno per far sentire ai ragazzi del territorio e a quelli che del messaggio di don Diana si sono innamorati, il profumo di una libertà possibile. È stato tutto complicato ma quel profumo ora lo sentono in molti». E tanti hanno accettato di raccontare il 'loro' don Peppe. Chi lo ha conosciuto profondamente e chi ha incontrato i risultati della sua opera. Magistrati, vescovi, ex compagni di seminario, giornalisti, scout, amici. Un libro da leggere per capire una terra, i cambiamenti, i problemi attuali. Anticipiamo alcuni passaggi dei magistrati, di chi indagò sull’omicidio e di chi ha fatto parte della 'squadra' che ha sconfitto il clan dei 'casalesi' che sembrava invincibile.
A partire dal procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho, che per primo arrivò nella chiesa di San Nicola dove il parroco era stato ucciso. «L’omicidio di don Peppe Diana è stato consentito da tutti coloro che prima avevano taciuto. Ma dopo quella morte tanti hanno capito che non era possibile che in una società esistessero uomini capaci di commettere fatti così gravi e che quella stessa società non fosse capace di ribellarsi». E di allora e di oggi scrive anche il giudice Raffaello Magi, estensore della sentenza 'Spartacus', il maxiprocesso ai 'casalesi'. «Noi magistrati di quegli anni lo abbiamo sentito vicino quando, dal 1995 in poi, si è aperta la stagione dei grandi processi, con cui un pezzo di verità è stato riconosciuto a questo territorio. Anche la verità sugli assassini di don Peppe. Ma, in fondo, servono a poco facce e nomi. Serve capire perché, serve capire che la vita 'vera' non è quella di chi spara ma è quella vissuta da don Peppe fino al suo ultimo giorno».
Magistrati che hanno ben compreso il valore dell’impegno del giovane parroco. «Don Diana credeva nella denuncia, ma anche nel perdono e nell’accoglienza – è la riflessione di Giovanni Conzo, allora giovane pm e oggi procuratore aggiunto a Benevento – ed è certamente questa la strada maestra da perseguire per poter trovare un senso. Il senso di un popolo che può cambiare solo trovando pace dinanzi al sangue versato». Ricordi che diventano impegni personali. «Quelle che all’epoca erano posizioni d’avanguardia – scrive Raffaele Cantone, allora pm in prima linea e poi presidente dell’Anac – oggi sono divenute patrimonio comune e l’eco che la vicenda di don Diana ha raggiunto nel tempo, seppure fra esitazioni e colpevoli ritardi, mostra quanta strada sia stata fatta proprio grazie al suo esempio. Ma consentire alla sua stella di continuare a brillare come merita, indicando il cammino, sta solo a noi».
Una storia di vittorie, di cambiamento, ma il cammino è ancora difficile. Così riflette Antonello Ardituro, anche lui pm di quella 'squadra' e poi al Csm. «Venticinque anni non sono trascorsi invano. Occorre spiegarlo ai ragazzi che la terra di don Peppe Diana non è più la stessa, non è il regno del clan, i 'casalesi' sono stati sconfitti». Ma, avverte, «spetta a tutti rileggere gli ultimi anni e trovare una diversa linfa, che consenta di superare quella che ormai troppo spesso appare come una stanca retorica dell’antimafia. Una nuova etica della responsabilità e dei risultati concreti deve aprire una diversa stagione dell’antimafia».