Attualità

Vent'anni dalla morte. «Don Diana, un seme che ha portato frutto»

Antonio M. Mira lunedì 17 marzo 2014
Don Peppino era un prete, attaccato alla sua terra e ai giovani che erano la sua passione. Convinto che dovevamo fare quello e basta, e lui lo faceva con tutta la passione di cui era capace. Ma a essere prete spesso ci si scontra con i camorristi». Don Armando Broccoletti ricorda così don Peppe Diana, ucciso dalla camorra il 19 marzo 1994. Entrambi erano parroci a Casal di Principe, lui dal 1977, don Diana dal 1989. Confratelli e amici. «Quasi tutte le mattina veniva a casa mia a fare colazione». Ma proprio a don Armando toccò, invece, arrivare per primo di corsa nella parrocchia di San Nicola alla notizia dell’uccisione di don Peppino. «Lo guardai lì a terra e gli chiesi "perché a te?"». Si commuove. «Se n’era andato un amico. Tra noi c’era incredulità. Non potevamo immaginare che fosse ucciso uno di noi». Ricordo e impegno. «Penso sempre a lui quando esco per la Messa. Mi torna in mente quell’immagine, di lui ucciso mentre stava per celebrare. Ma mi dà anche una spinta, mi aiuta a capire lo spirito missionario, a non adagiarmi sul quotidiano, così come era lui. Ricordo il suo entusiasmo, la sua gioia. Mi sono dovuto scontrare con realtà molto dure ma vado avanti. A noi sacerdoti la morte di don Peppino ha dato una spinta forte a continuare con maggiore impegno. E non solo a noi». Qui nella parrocchia di S. Rocco a Frattamaggiore dove don Armando, che è anche direttore della Caritas diocesana, è arrivato nel 2000, molti sono i ricordi di don Diana. «È tanto che non faccio una chiacchierata su don Peppino…». La sua foto sorridente dietro la scrivania e due cartelline con le scritte "Casal di Principe" e "Don Diana". Fogli ingialliti, ritagli di giornali di allora, preghiere per don Peppino. E il documento originale della famosa lettera "In nome del mio popolo non tacerò", con sopra scritto "Avviso sacro". Come nasceva? «Vedevamo che dopo il terremoto del 1980 tanti dei nostri bravissimi casalesi, lavoratori indefessi, erano diventati imprenditori. Vedevamo un grande movimento di soldi ma il paese non decollava. Niente strade, luce, fogne…e ci chiedevano come fosse possibile. E poi si ammazzava o si gambizzava ogni giorno. Erano tempi davvero terribili. Si avvicinavano le elezioni. Una mattina don Peppino si presentò da me con la bozza della lettera. "Guarda quello che ho scritto. Dimmi che te ne pare". Me lo lesse, lo riaggiustammo e decidemmo di pubblicarlo. Era un documento indirizzato soprattutto ai giovani, perché aprissero gli occhi, perché costruissero il loro avvenire. Giorno per giorno, al di là delle convenienze. Nessun dubbio nel farlo. Tutti i parroci della Forania. Lo leggemmo in tutte le chiese. Fece scalpore. La gente non era ancora cosciente, era d’accordo ma non lo diceva ad alta voce». Le reazioni non si fecero attendere. «Io andai avanti, continuando ad attaccare dall’altare, anche se col mio tono, apparentemente dolce. Dopo due mesi mi rubarono l’altare. Era del ’600, l’unica cosa preziosa che avevo in chiesa. Mai più ritrovato. Qualcuno venne a dirmi "mo’ te lo troviamo noi...". Io feci una lettera aperta invitandoli a riportarlo. Capì subito che c’era un collegamento col documento». Ma nessuno si aspettava il peggio. «Dispetti, furti erano in conto. Ma non pensavamo mai che sarebbero arrivati ad uccidere. Ucciderlo in chiesa… pazzesco». E «perché lui? Proprio l’ultimo arrivato. Forse perché era schietto e diretto, un vero casalese, col suo vocione. Io, pur non scherzando, riuscivo un po’ a dominarmi. Lui "allucava", gridava. La schiettezza, la sincerità, e questo a qualcuno può dispiacere». Così subito dopo l’omicidio cominciarono a girare strane voci. «Ci dissero "su don Peppino è uscita una cosa brutta". Ce lo aspettavamo. La loro strategia la conoscevamo bene. Prima si uccide e poi si getta fango. Sapevamo che avrebbero usato tutte le armi. Non potevano dire "lo abbiamo ucciso perché ci dava fastidio"». Ma dopo vent’anni la storia sta cambiando. «Questa volta ci sarà tanta gente per strada. Tanti giovani, tante ragazze, tanti impegnati nell’attività sociale. Questo è il cambiamento più bello».  E allora «veramente quel seme ha portato tanti bei frutti. Tanti che si ispirano a Peppino. Lui ora prega per noi e noi portiamo avanti le sue battaglie».