Attualità

PASSIONE. Il dolore e la speranza degli abruzzesi

dal nostro inviato all'Aquila Giovanni Ruggiero venerdì 10 aprile 2009
È possibile guardare a quello che è accaduto senza lasciarsi vincere dalla disperazione? Cosa vedono gli occhi della fede in quello che è successo in questi giorni? E come si vive il mistero della morte e della resurrezione tra le macerie della propria terra? Tre testimonianze danno voce agli stati d’animo che animano un intero popolo. GRAZIA, LA MADRE«Il terremoto, segno sconvolgente che ci fa capire il senso della vita» Se non fosse per il tono dolce e sommesso, per l’ansia che esprime la domanda, parrebbe la sua una sfida all’Eterno. A Termoli, dove con il marito ha portato i figli per non esporli ai disagi di una tenda, Grazia Cotroni, una giovane mamma che insegna matematica in un liceo di Roseto, ragiona: «Gesù quando cade dice che farà nuove tutte le cose. Voglio vedere adesso come le farà nuove. Voglio sapere dietro tutto questo il buono cos’è». Domenica notte sua figlia Maria, che ha poco meno di un anno, non riusciva a prendere sonno per quel dolore ai denti che addolora tutti i bambini. Lei e il marito Gino decisero di tenerla nel letto tra loro due perché stesse quieta e serena. Ci fu la scossa che ha sconvolto l’Abruzzo. Lei scappò con la bimba tra le braccia, il marito con Paolo che ha poco più di tre anni. Quando al mattino sono tornati in casa, una grande pietra caduta sul lettino della bimba li ha raggelati. Avrebbe ucciso Maria. «A me – dice – è parso un segno, come segni sono tante piccole cose che vedo nell’album di questo dramma pubblicato dai giornali». Fa l’esempio della Madonnina sulla chiesa di Paganica. Non si è nemmeno scalfita in mezzo a tanta distruzione. A lei è venuto in mente Dante: «Qui sei a noi misericordiosa face di carità, e giuso intra mortali sei di speranza fontana vivace». Ricorda a memoria il passo del Paradiso: «Per i cristiani, la grazia è Maria». Il terremoto fa cadere le case (la sua è infatti caduta) e uccide gli uomini: «Ma un evento così sconvolgente fa capire di più il valore delle cose e delle persone che ci circondano. Non ci accorgiamo neppure che ci sono. Questa fatto terribile pare che mi abbia chiesto di guardare a quello che c’è, a quello che abbiamo». Suo figlio Paolo ieri l’ha sorpresa. Sono stati tutto il pomeriggio da un’amica; rincasando le ha detto: «Mamma, grazie per questa tua amica Cristina». Aggiunge lei: «È stato come se qualcuno mi avesse voluto aiutare a vedere gli altri. Gesù pare mi abbia voluto dire: "Guarda cosa ho provato io. Però sono risorto"».Da Termoli pensa alla sua casa in Abruzzo dove, dice, il Signore ha mostrato la Croce: «Cristo – riflette – non ci ha mai spiegato la Croce. L’ha portata e basta. Solo nel tempo si capirà questo mistero. Noi però dobbiamo tenere la domanda aperta, e anche il cuore aperto alle risposte». Nella risposta sta anche la ricostruzione che non è solo delle case distrutte. «La perdita della casa – dice – paradossalmente ti fa comprendere che la casa non è tutto, non è tutto il lavoro, ma il tutto è l’Essenziale». Non c’è solo Cristina. È soltanto una delle tante della compagnia che – dice Grazia – le ha regalato il Signore. Cristina è solo una parte degli altri. «Da sola non costruisci la speranza nel futuro. L’unico modo per non disperare è incontrare la compagnia degli amici. Sono gli altri, sono loro, che ci aiutano a guardare il positivo che c’è in tutte le cose».Stare a Termoli non è un abbandono. Non ci fossero stati Paolo e Maria, lei sarebbe una parte degli altri che vivono adesso in una tenda. «Potrei non pensarci – infatti confessa –, potrei dimenticare presto le scosse e la paura, ma chi ha fede deve stare di fronte alle cose. E queste cose non sono venute a caso. Chi crede ha il compito di aprirsi, soltanto per scoprire nel mistero il buono cos’è e dove sta». Quando dice che lei è fatta per il bello, intende se stessa creatura figlia di Dio. «Il cuore dell’uomo – dice – è creato per le cose belle. Anche davanti alle cose brutte dobbiamo chiederci dove sta il bene». Si può stare in ginocchio davanti alla tragedia, cercando nel mistero il bello, anche da Termoli. La ricerca di Grazia, infatti, non si misura con i chilometri che adesso la separano dall’Abruzzo.DON MAURO, IL SACERDOTE«Qui non ce la faremo a risorgere in 3 giorni, ma è Pasqua anche per noi»Fino a mercoledì è stato un terremotato tra gli altri, come suo padre Gino e mamma Luciana, venuti da Sestri Levante per passare la Pasqua insieme. Ha confortato la gente, ha distribuito cibo. Mercoledì mattina all’alba, quando tutti dormivano, la lettura del breviario lo ha riportato alla sua dimensione di sacerdote, e don Mauro Orrù è rimasto scosso dalla Lettera agli Ebrei. Gli è parso che si riferisse alla distruzione che lo ha circondato, comprese le macerie della sua chiesa dedicata a San Lorenzo che, senza più una parete, mostra dalla strada i santi impolverati. Ha letto che «la Parola ancora una volta sta a indicare che le cose che vengono scosse sono destinate a passare, in quanto cose create, perché rimangano quelle che sono incrollabili». Si è commosso e a stento è arrivato alla fine.Don Mauro, origini sarde, è in Abruzzo da quattordici anni, parroco ora qui ora là in questi paesini sulle balze dell’Appennino abruzzese. Se il terremoto pone delle domande, per lui sono cominciate mercoledì. «La prima – dice nella roulotte che gli è stata assegnata, proprio davanti alla chiesa che crolla – è come rispondere alle domande della gente. Vedi i tuoi parrocchiani afflitti e tristi, e muti anche i bambini che hai sempre visto giocare, e ti accordi che alle loro domande non puoi rispondere con i discorsi preparati. Sembrano che ti dicano: ma con la Passione che c’entriamo noi?».La passione dell’Abruzzo e quella di Gesù, il sacerdote le ha messe insieme: «Adesso, girando nei campi, tra le tende – racconta – mi viene in mente Gesù quando dice che non ha una pietra su cui posare il capo. Penso a questa gente che in qualche maniera assomiglia a Cristo, perché non sa dove riposare».Il terremoto ha cambiato i riti tradizionali. La lavanda dei piedi di Giovedì santo sì è trasformata per don Mauro in un pellegrinare tra le tende azzurre della Protezione civile. «Anche questo – dice – è stato un mettersi al servizio degli altri, come ci chiede il Signore, e la gente che fino a ieri mi chiedeva una coperta o un po’ di latte, da oggi comincia a chiedermi perché». Cosa risponde don Mauro ai suoi parrocchiani? «Rispondo che il cristiano guarda alla vita vera che è quella che passa necessariamente attraverso la morte». Il crocefisso del suo altare ha dovuto pulirlo di tutta la polvere. Lo ha fatto con la cura che si mette quando si lava un bambino: «Gesù stesso – riflette – è stato una maceria sulla croce, ed è da questo dramma che è nato tutto. Il crocefisso però non sta sempre sul Calvario». Sorride d’un tratto. Gli viene in mente don Tonino Bello: «Diceva che anche sul Golgata dopo le tre c’è il divieto di sosta. Intendeva dire che dopo la croce c’è la sepoltura e poi la Resurrezione, e il cristiano, credo che intendesse dire, non si ferma a guardare alla morte, ma ha gli occhi rivolti alla Resurrezione».È da mercoledì che don Mauro non guarda più alle pietre cadute: «Guardo – dice – a quello che faremo». Sa bene che l’Abruzzo non risorgerà in tre giorni. «Ma il terzo giorno – spiega – non è un tempo umano, calcolato sul calendario. Certamente ci sarà anche per l’Abruzzo. La Pasqua dell’Abruzzo verrà, come è venuta quella del Signore, e noi aspettiamo l’una e l’altra». Sta per finire la frase che una scossa fa tremare la roulotte che adesso è casa canonica e sagrestia di una chiesa che non c’è più. Si sente la madre gridare. «Mamma – la rassicura – non aver paura, non c’è nessuna pietra che può caderci addosso». «Ci ha chiesto – confida la signora – di andarcene presto per lasciare il posto ad altri sacerdoti. Ma con quale cuore posso lasciarlo qui?». È un’altra domanda alla quale il figlio deve rispondere.SERENA, LA VOLONTARIA«C'è sempre una resurrezione e ci sarà una ricostruzione»Gli angeli del coro – si chiamano proprio così, "Coro Angels" – ora girano tra le tende dei terremotati: stringono una mano, accarezzano un volto, raccolgono una paura. Serena Parlante è una di loro. Giovane ingegnere meccanico, ha poco da fare adesso che l’azienda dove lavora ha fermato la produzione. Non è tempo per cantare, ma se potesse, lei che ha la voce da soprano, sa bene quale canto intonerebbe tra queste tende insieme agli altri: «Io oggi alzo lo sguardo verso te trafitto per i miei peccati, per le tue piaghe io guarirò. Gesù ricordati di me». Lo canterebbero nella chiesa, se non fosse pericolante, e se in questo Venerdì santo alla Croce di Cristo non si affiancasse quella della sua terra. Ci siamo seduti su una panca proprio davanti alla mensa, lei ha già portato da mangiare a sua nonna ultranovantenne e ad altri anziani che stanno nella prima tenda, dopo quella della farmacia.  Vede la sua gente fare la fila: «È facile – dice – essere nel bene, ma sono queste tragedie che provano il tuo essere e la tua fede. A volte però ti senti smarrita, perché non comprendi il senso di quello che accade». Serena sta cercando di capirlo, ma avrebbe bisogno di una pausa. Dovrebbe sentire la terra ferma sotto i suoi piedi, invece quelle scosse che pare fermino il tempo non cessano, e il Venerdì santo dell’Abruzzo sembra eterno, come se non volesse finire mai. Come se il tempo si fermasse sul Calvario. «Siamo stati trafitti, ma non è stata un’unica ferita. Le scosse – spiega – sono ancora forti e non cessano. Vedi le tue case che sembrano intatte e ti chiedi fino a quando reggeranno. Il sisma non è fatto solo di distruzione, ma anche di queste ansie. Deve passare. Siamo ancora nel periodo della distruzione».Tentare di capire. Forse raccogliendosi, con i ragazzi del coro, ai bordi delle tende e della distruzione, per chiedersi perché. «Tutto va compreso. Sono abituata – dice Serena – alla comprensione, ma forse il senso del tutto non si può comprendere subito. Ma ci sarà un tempo in cui tutto troverà la sua spiegazione». Chissà quando, chissà dove, chissà come. «Non è facile capire, ma del resto non può essere tutto positivo. Forse proprio questo dà la spiegazione a tante cose che si danno per scontate». Pasqua verrà. Serena dice che Pasqua viene tutte le volte che non perdi la speranza: «C’è sempre una resurrezione e ci sarà una ricostruzione, certo non sappiano quando, ma io non perdo questa speranza. In una fede quotidiana l’Eterno entra pure nella piccole cose. Ho avuto tante volte una mano che mi ha preso e mi ha sostenuto, e questo aiuto nella mia vita è stato tangibile. Per questo non dispero».Si può essere felice e serena anche in una tenda, prima di tutto perché il lutto non ha listato la tua vita. Solo per questo gli Angeli del coro, se potessero, intonerebbero qui una canzone, tra i vigili del fuoco e gli uomini della Protezione civile e i tanti volontari che vanno su e giù accorti e premurosi. Si avvicina a noi Annalisa Filauro. È anche lei ingegnere, ma per il coro, oltre a cantare, scrive anche i testi. Hanno un loro Te Deum per essere vivi: «Siamo i più fortunati – dice Serena – pur in queste ristrettezze. La croce vera e più grande è di chi sta piangendo i suoi cari e forse non ha speranza di ricominciare». Questo ringraziamento dice in un punto: «La vita hai dato per noi perché siamo i figli tuoi. Riempi i cuori, e un senso a tutto tu dai. Pane di vita tu sei». Ma verrà Pasqua, e lo intoneranno in questo mare di tende azzurre domenica nella Risurrezione di Cristo, in attesa che venga anche quella di questa terra che è parsa abbandonata.