Milano. Dj Fabo, si è aperto il processo a Cappato per «aiuto al suicidio»
Un momento del processo a Marco Cappato, alla Corte D’Assise di Milano
Udienza rapida come il processo che verrà. E che a ridosso del Natale può arrivare alla sentenza per «istigazione o aiuto al suicidio». Nessuna obiezione al rito immediato chiesto da Marco Cappato, imputato unico, che ha voluto questo processo con un’autodenuncia presentata il 28 febbraio ai carabinieri.
Nessuna eccezione per la lista stringata dei testimoni, comuni alla difesa e all’accusa. Perché nessuno contesta i fatti, la ricostruzione sulla preparazione e sull’ultimo viaggio verso la struttura di Dignitas, la 'clinica' Svizzera dove dopo due giorni di degenza, il 27 febbraio 2017, fu spenta la vita di Fabiano Antoniani, meglio conosciuto come «dj Fabo». La suggestione emotivamente più forte sarà affidata all’intervista del quarantenne tetraplegico e cieco andata in onda in gennaio nel programma «Le Iene». Un 'girato' drammatico, mai trasmesso integralmente in televisione, trasformato in testimonianza. Con la postilla in cui si racconta l’ipotesi di agonia ove fossero stati semplicemente staccati i macchinari che lo tenevano in vita. Di tutto questo la pm Tiziana Siciliano chiede e ottiene la proiezione in aula: «Non per volontaria scenograficità», ma perché «assieme alla deposizione del giornalista (Giulio Golia, autore; ndr) è fondamentale per spiegare le effettive condizioni di Antoniani prima, durante e dopo, per come si possono ricavare dalle immagini». E si considera «importante», oltre a quelle necessarie della madre e della fidanzata Valeria, anche la deposizione del medico-anestesista Mario Riccio, che staccò la spina a Piergiorgio Welby. Siciliano, insieme alla collega Sara Arduini, aveva firmato un’articolata richiesta di proscioglimento. E le scelte che incardinano il processo in questa prima udienza, sembrano orientate a una richiesta finale di assoluzione.
Il procedimento si celebra infatti solo perché il gip Luigi Gargiulo, respinta la richiesta di archiviazione, ha imposto, l’«imputazione coatta». Per la Procura «le pratiche del suicidio assistito non costituiscono una violazione del diritto alla vita, quando siano connesse a situazioni oggettivamente valutabili di malattia terminale o gravida di sofferenze o ritenuta intollerabile e indegna dal malato stesso». Ma il gip ha sostenuto che il reato non consente scappatoie; che di aiuto al suicidio parlò con la sua autodenuncia lo stesso imputato; che Cappato, seppure non ha indotto la morte, ha «rafforzato la volontà suicidaria» di Fabiano Antoniani, prospettando una «dolce morte» a un uomo cieco e paraplegico. Cappato non solo lo accompagnò nell’ultimo viaggio ma lo organizzò e lo preparò anche mostrando i depliant della struttura svizzera specializzata in suicidi assistiti. Un’aggravante che ha portato il processo davanti alla Corte d’Assise, presieduta da Ilio Mannucci Pacini, che, accolte tutte le richieste, in poco più di mezz’ora, ha fissato al 4 e al 13 dicembre le prossime udienze.