Attualità

IL DIRITTO DI IMPARARE. Dislessia, dieci anni aspettando la legge

Nicoletta Martinelli venerdì 13 agosto 2010
Sono ormai adulti o stanno per diventarlo i bambini che «le nuove norme in materia di disturbi specifici d’apprendimento in ambito scolastico» avrebbero dovuto aiutare, cresciuti durante i quasi dieci anni trascorsi dalla legge in Parlamento. Il 9 luglio la Camera ha dato il via libera al testo con numerose modifiche, la legge non è mai stata così vicina ma non è ancora tempo di esultare: che succederebbe se il Senato non convalidasse i cambiamenti? Basterebbe una sola obiezione per rimettere tutto in discussione e ricominciare il rimpallo parlamentare: proprio ai senatori si rivolge l’appello di una mamma vicentina che ha chiamato a raccolta tutto il mondo che gravita intorno al problema dislessia. Genitori e insegnanti, medici e tecnici sanitari, singoli e associazioni hanno risposto solleciti: in pochi giorni le firme, raccolte attraverso Facebook, sono già 1.300. «Ascoltate le nostre storie che parlano di sofferenza, di battaglie quotidiane, di abbandoni scolastici, di traumi familiari. Venite a conoscere i nostri figli – chiede ai parlamentari che siedono in Senato Laura Ceccon, battagliera nonché fiera mamma di un bambino dislessico – e capirete le loro reali difficoltà, quanto è pesante il carico emotivo e quanto impegno è richiesto alla famiglia per seguirli nelle attività scolastiche. Soprattutto vi stupirete scoprendo le incredibili risorse che posseggono i nostri figli, quanto sono intelligenti e intuitivi, sensibili, creativi, addirittura geniali». Geniali? Eh, già: non è raro che i bambini con problemi di dislessia abbiamo un’intelligenza sopra la media sebbene, in classe, passino per stupidi o per lazzaroni. Ma la dislessia non ha niente a che vedere con le capacità intellettive, è un problema su base biologica, spesso ereditario, che riguarda la capacità di leggere in modo corretto e fluente. La legge che si chiede al Senato di approvare senza ulteriori ritardi avrà prima di tutto il merito di riconoscere il problema: «I nostri figli sono dislessici, non pelandroni. In base alle nuove norme, il loro disturbo dovrà essere diagnosticato da uno specialista su segnalazione dell’insegnante. Fino a oggi è toccato alle famiglie convincere maestri e professori – spiega Laura Ceccon – che i figli avevano un problema oggettivo con la lettura e la scrittura, che non era da attribuire allo scarso impegno l’impossibilità dei bambini di seguire il dettato, di imparare le tabelline o di leggere fluentemente». A fare la diagnosi sarà un neuropsichiatra infantile che sottoporrà il bambino a una serie di test per accertare che sia o meno dislessico. Se si tratterà esclusivamente di uno specialista del servizio sanitario pubblico o se ci sarà la possibilità di effettuare le diagnosi anche presso specialisti e strutture private accreditate è uno dei punti su cui la legge potrebbe di nuovo arenarsi: il testo licenziato dalla Camera prevede entrambe le possibilità ma nelle recenti sedute della Commissione permanente, in sede consultiva, alcuni senatori hanno sollevato le loro obiezioni in proposito. Dopo la diagnosi, indispensabile qualunque sia l’inquadramento dello specialista – nel pubblico o nel privato –  e accertato che il bambino ha problemi di dislessia la legge tanto attesa imporrà alla scuola di attivarsi. Il che significa mettere a disposizione dell’allievo strumenti “dispensativi e compensativi” che gli consentano l’apprendimento e una serena vita scolastica. Gli strumenti dispensativi sono per lo più mezzi tecnici che aiutano i ragazzi compensando – appunto – le loro debolezze: il computer permette la videoscrittura e limita gli errori di ortografia, la sintesi vocale consente di ascoltare invece di leggere, la calcolatrice non prevede la conoscenza delle tabelline. Gli strumenti dispensativi, invece, hanno a che vedere con la percezione del sé e con lo sviluppo nel bambino della necessaria autostima: prevedono, per esempio, che allo studente dislessico vengano risparmiate le interrogazioni alla lavagna e la lettura ad alta voce, che la valutazione dei suoi temi si basi più sulla sostanza che sulla forma. «Fino a oggi il vuoto legislativo sui disturbi specifici dell’apprendimento era tamponato da una serie di leggi regionali. Nelle classi, poi, bisognava affidarsi alla sensibilità del singolo insegnante, spesso – racconta la mamma che ha promosso l’appello – con scarsi risultati. Vorremmo scongiurare l’ipotesi di nuovi intoppi e nuove riserve. Quel che ci auguriamo – chiarisce Ceccon – è che il passaggio al Senato sia rapido e indolore». Dopo quasi dieci anni sarebbe il caso.