Dopo il caso Bertocco. Disabili gravi, la libertà di vivere
Pur assai diversa dal caso di Fabo, la tragica vicenda di Loris Bertocco, il 59enne veneziano paralizzato e cieco che ha scelto il suicidio assistito in un centro specializzato di Zurigo, ricorda quella del dj milanese per due aspetti: entrambi gravemente disabili ma non terminali, hanno scelto di farla finita in una 'clinica' elvetica per la morte a pagamento; tutte e due le morti sono coincise nel loro impatto mediatico con un momento critico per l’iter della controversa legge sul fine vita. E se in febbraio la fine di Fabo ebbe un ruolo non secondario nel portare la legge fuori dal duro confronto in commissione per arrivare all’approvazione dall’aula della Camera il 20 aprile, ora l’affiorare della drammatica fine di Bertocco – attivista dei Verdi ma non certo deciso a fare della sua morte uno strumento di battaglia politica – cade alla vigilia del passaggio forse decisivo per il disegno di legge sulle «disposizioni anticipate di trattamento » (Dat). La relatrice Emilia De Biasi (Pd) ha infatti dato tempo fino a martedì agli oppositori della legge, ora all’esame della Commissione Sanità in Senato, per ritirare le centinaia di emendamenti che con la legislatura agli sgoccioli possono far impantanare definitivamente il ddl. «In caso contrario – aggiunge la senatrice – il relatore si dimette e si invia il fascicolo alla Conferenza dei capigruppo, che può decidere di andare direttamente in Aula senza dare mandato al relatore». A Marco Cappato (Associazione radicale Luca Coscioni), che ne approfitta per invocare a gran voce l’approvazione della legge sulle Dat («troverebbero finalmente una risposta almeno quelle persone che vorrebbero interrompere senza soffrire un trattamento sanitario che li tiene in vita»), fa eco in Parlamento Roberto Speranza (Mdp) per il quale «sul testamento biologico non si può aspettare neanche un giorno» rimandando alle parole di Bertocco. Che però nella lunga e toccante lettera di commiato apparsa ieri su Repubblica dedica poche righe all’auspicio che la legge arrivi in porto dedicando invece quasi per intero il suo scritto a spiegare in modo puntiglioso e accorato come a una decisione estrema come la sua abbia concorso in modo decisivo non già l’impossibilità di far valere un documento con le volontà di fine vita ma l’assistenza che col tempo si è rivelata del tutto insufficiente per un caso come il suo: «Avrei potuto fare ricorso al Tar – scrive spiegando il rigetto per ben due volte della sua domanda alla Regione Veneto di accedere ai fondi straordinari pure esistenti – ma ormai ero deluso, stanco, sfinito dalle mille quotidiane difficoltà, di fronte a tanta incomprensione, per altro mai decentemente argomentata». Un grido che impressiona e che chiede una risposta assistenziale e sanitaria, non certo il diritto di morire o la libertà di interrompere i supporti vitali. C’è chi ha ben chiaro che la vita e la morte di Loris Bertocco non possono essere usate come grimaldello emotivo sull’opinione pubblica come invece si fece con Fabo (per la morte del quale peraltro Cappato dovrà rispondere in novembre davanti al Tribunale di Milano, avendolo accompagnato in Svizzera, come poi ha fatto anche con Davide Trentini, morto il 13 aprile sempre per suicidio assistito oltre confine): «Quello che c’è dietro la vicenda di Loris – commenta Fulvio De Nigris, direttore del Centro studi per la ricerca sul coma – è la stessa solitudine di gruppi familiari che chiedono assistenza», ovvero «percorsi di cura, aiuti, una condivisione che faccia rinascere un nuovo progetto di vita». Se è vero che «mancano i soldi», quello che però manca davvero secondo De Nigris «è la volontà di farsi carico di una cittadinanza troppo spesso definita di serie B e sulla quale si investe ancora troppo poco. È qui, in Italia, che va riversato l’aiuto, in tutto il percorso di vita di cui la morte è la parte finale. Un Paese civile non può abbandonare così i suoi cittadini». © RIPRODUZIONE RISERVATA Sopra, a destra, Loris Bertocco, il veneziano 59enne paralizzato che è andato in Svizzera per morire con suicidio assistito