Una gabbia. O meglio un buco. La luce in alto conferma che fuori c’è un mondo, per cui però spesso sei un «goffo stupido tonto». Poche connessioni «tra la parte che vive nel pozzo» e quello che gli altri percepiscono, ma non perché una sia una fortezza vuota e l’altra una scatola piena di parole. Perciò gradino dopo gradino, con gli strumenti giusti, dal fondo nero Andrea è salito su, fino alla laurea, perché «volevo uscire dal silenzio per dimostrare di essere intelligente» e di essere «diverso da quello che sembro». Poche parole scritte su un pc nel sabato in cui la città di Rieti lo premia per il suo traguardo, poi di corsa a chiudersi in camera sua.
In fondo, non è facile spiegare il motivo di una tesi – "La mia vita nel pozzo" – proprio sull’autismo e i social network. Soprattutto se in quelle pagine di pensieri minimi, sono racchiusi i suoi primi 28 anni da autistico con deficit cognitivo grave. Questa la diagnosi che papà Virgilio e mamma Ines Paolucci si sono sentiti ripetere fino alla nausea nei primi 11 anni della vita di Andrea. Decine di medici, altrettante terapie persino oltreoceano per non arrendersi a quell’apparente incomunicabilità del loro unico figlio. Poi la scoperta della comunicazione aumentativa alternativa (Caa) e di una tastiera che ha consentito a questo ragazzo dolce con gli occhiali spessi, d’imparare a leggere, diplomarsi e, dopo 29 esami scritti in sette anni, di laurearsi con 110 e lode in Scienze della formazione nell’ateneo dell’Aquila.
Nessuno sconto di programma per lui, niente didattica semplificata e questo ne fa uno dei primi autistici gravi laureati nel nostro Paese. Solo un tutor, Karin – ribattezzata avatar – che negli anni ha studiato assieme lui e lo ha accompagnato agli esami, ma non per reggergli la mano mentre si esprime con il computer. Solo per dar lui lo start, un leggero picchiettio sulla spalla. In questo modo Andrea inizia ogni volta a risalire dal pozzo.
Dal primo esame di didattica generale fino all’ultimo test di diritto amministrativo. Ogni volta fuori da quel luogo in cui si vive prigionieri di un corpo e ci si sente «uno scherzo crudele della natura beffarda». Ma quanta voglia si ha – scrive Andrea – di non perdersi il suono delle parole «quando non sono urlate», le note della musica, i colori del mondo «che sono parte di me» come i fastidi, anche se «i rumori violentano i miei sensi». Come pure di capire gli atteggiamenti che si possono avere per apparire in rete diversi da ciò che si è. Una sfida, ma anche un pericolo.
Uscire dal pozzo, appunto. Ci ha provato molte volte Andrea, anche grazie a Facebook che «tanto può dare cose soprattutto a persone come me». Amici nuovi, comunicazione speciale con altri autistici, inaspettate emozioni. Ma da giovane uomo vorrebbe di più. Un computer ti permette, infatti, di «apparire come non siamo in realtà», perciò il chattare potrebbe perfino far in modo che «non trapeli la mia condizione». Tuttavia non aiuta a uscire di casa, lamenta Andrea. La sua prima scommessa l’ha vinta con se stesso. «I medici ci ripetevano che non c’era niente da fare», racconta Virgilio, convinto adesso che suo figlio «funziona solo diversamente». Usa la lettura globale e «la sua mente è assorbente». A modo suo, però.
Oggi a parlare è la corona d’alloro di Andrea, che a settembre comincerà la specialistica. Poi, ancora all’università per una nuova avventura in psicologia. «Vuole aiutare il popolo autistico» dice mamma Ines, utilizzando la stessa frase che il figlio un giorno gli ha confidato attraverso il pc. Per ora nell’associazione Loco Motiva, creata a Rieti con i genitori e un medico, Andrea già insegna ad altri come lui a comunicare con il sistema Caa. La più bella lezione, però, l’ha tenuta a pagina uno della tesi. «È il mio cervello che funziona in modo diverso – scrive difatti – ma il cuore è capace di tanto amore». L’ultimo pensiero è per mamma Ines: «Oggi puoi perdonare tutti, io sono felice grazie a te e papà».