Dal Viminale. Il piano del governo: profughi integrati con diritti e doveri
«Un patto ideale», così lo definiscono dal Viminale, tra i migranti e chi li accoglie: «Ai titolari di protezione vanno quindi riconosciuti quei diritti essenziali che discendono dal loro status, cui devono corrispondere, così come per ogni cittadino italiano, altrettanti doveri e responsabilità per garantire una ordinata convivenza civile». Il piano nazionale per l’integrazione si ispira proprio a questo patto tra chi accoglie e chi è accolto. Il documento, presentato ieri dal ministro Marco Minniti alle associazioni impegnate nei vari tavoli governativi per l’immigrazione, è il frutto di due anni di confronto e dialogo iniziati dall’allora capo del Dipartimento Immigrazione e ora capo di gabinetto del ministro, il prefetto Mario Morcone.
La platea a cui è rivolto il Piano non è composta dai soli titolari di permesso di soggiorno per protezione internazionale. Ci sono infatti 196.285 persone nel sistema di accoglienza nazionale, la maggior parte richiedenti asilo e 18.486 minori stranieri non accompagnati, questi ultimi destinatari di un impegno specifico. Buoni principi che non potrebbero però trovare approdo se non si mettesse mano alla capacità delle istituzioni «di governare in maniera equilibrata – ammette il documento del Viminale – il delicato rapporto dei territori con i migranti, operando un bilanciamento tra i diritti di chi è accolto con quelli di chi accoglie». Dopo anni di confronti - e di scontri - per la prima volta il Ministero dell’Interno e il variegato mondo dell’accoglienza sono riusciti a fare sintesi con una piattaforma che vede molte novità.
A cominciare da un cambio di paradigma: «Il tentativo di imporre l’integrazione per via legislativa non sembra funzionale ad operare questo bilanciamento. Obbligare all’assimilazione, infatti, rischia di causare processi di deculturazione degli stranieri, suscitando, soprattutto nelle seconde e nelle terze generazioni, la percezione di essere esclusi dal discorso pubblico». Come dire che oltre a generare ingiustificate tensioni, si finisce per danneggiare anche gli stessi migranti. Non resta che aggrapparsi alla Costituzione: «L’architrave di questo patto è senz’altro rappresentato dall’articolo 3 che, nel riconoscere la pari dignità sociale e l’uguaglianza dinanzi alla legge di tutti coloro che risiedono in Italia, fa sì che l’integrazione comporti, accanto alla titolarità dei medesimi diritti, l’impegno al rispetto dei medesimi doveri e all’assunzione delle medesime responsabilità ». Ne va anche della sicurezza del Paese. E in questa direzione va anche l’impegno alla «formazione di una classe di imam riconosciuti che tengano i propri sermoni in italiano e che siano in grado di scongiurare il pericoloso fenomeno dei 'predicatori fai da te'».
L’accoglienza, spiegano fonti del Viminale, non è neanche un problema di risorse: «I fondi non mancano e ci sono cospicui stanziamenti dell’Ue destinati esclusivamente a questo e che non possiamo dirottare su altre esigenze. Perciò sbaglia chi dice che si sottraggono risorse agli italiani – aggiungono dal Ministero dell’Interno –, ma con questo piano possiamo dimostrare che non solo accogliere si deve, ma possiamo farlo senza penalizzare i cittadini italiani».
I punti salienti vanno dall’obbligo dello studio per la conoscenza dell’italiano al rispetto della Costituzione, dall’uguaglianza di genere alla condivisione dei valori fondamentali. Chi beneficia della protezione internazionale (sono ad oggi 74.853 in Italia) assume degli impegni verso il Paese ospitante. Cui corrispondono altrettanti doveri per lo Stato, che dovrà assicurare ai rifugiati uguaglianza e pari dignità, libertà di religione, accesso a istruzione e formazione, alloggio e sistema sanitario. Il successo del Piano dipende però dalla capacità di proporre progetti di integrazione in tutto il territorio. Con un’attenzione speciale per le donne. In particolare per quelle che arrivano dalla Nigeria, che nell’ultimo biennio sono passate da 5.000 nel 2015 a 11.009 nel 2016. La maggioranza di esse arriva in Italia «dopo un viaggio caratterizzato da abusi, violenze e vari tipi di sfruttamento - si legge -. Il sistema di accoglienza deve quindi prestare particolare attenzione alle specifiche vulnerabilità di genere e alle donne vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale».