Roma. Dimenticati da tutti (col Covid) nell'ostello della Caritas: «Aiutateci»
L'ostello della Caritas di Roma
Da una settimana non entra e non esce più nessuno dall’ostello della Caritas di Roma. Solo gli operatori. Tra gli 85 senza dimora ospitati sono stati riscontrati 28 positivi al Covid-19, oltre a tre operatori. Per tutti è scattata la quarantena. Positivi e non positivi sono stati separati, i primi nel reparto donne, i secondi in quello uomini. Ma la situazione è difficilissima. Perché con loro sono solo trenta operatori e volontari Caritas, in più turni, ai quali si sono aggiunti medici e infermieri della Croce rossa che ha fornito anche i dispositivi di protezione per tutti. «È l’unico aiuto che abbiamo avuto. Nulla invece dalle istituzioni locali. Non possiamo fare da soli. Noi siamo operatori sociali non sanitari» denuncia con forza il direttore della Caritas, don Benoni Ambarus, che ricorda come nella struttura, intitolata a don Luigi Di Liegro, sia ospitata «una popolazione estremamente fragile dal punto di vista psichico e fisico, oltre che sociale, abitativo e relazionale». Più della metà sono italiani.
Ricordiamo che l’ostello ha una convenzione per 185 persone ma con l’emergenza Covid si è deciso di aprirne un altro nella struttura di Santa Giacinta, dove si trovano altre 80 persone. «Per senso di responsabilità li abbiamo divisi per evitare una bomba sociale – sottolinea don Ben –. Da marzo stiamo facendo uno sforzo straordinario con l’ostello sdoppiato, il che vuol dire doppia equipe. Eppure non abbiamo avuto tantissima collaborazione delle istituzioni. Per otto mesi siamo riusciti a tenere, ma ora il coronavirus è arrivato».
La scorsa settimana sono stati ricoverati cinque ospiti per sospetto Covid. «Dopo vari solleciti è arrivata la Asl Rm1 a fare i tamponi a tutti. Ma solo giovedì pomeriggio a più di una settimana dai primi casi. I risultati sono arrivati sabato pomeriggio: 23 positivi asintomatici più 3 operatori». Dopo i risultati non è successo nulla. «Non ci hanno detto quello che bisognava fare per organizzarci. Lo abbiamo dovuto fare da soli col grande sostegno della Croce rossa». Così, come spiega il direttore dell’area sanitaria della Caritas, Salvatore Geraci, «abbiamo sanificato noi gli ambienti e realizzato dei divisori». Ma, insiste don Ben, «l’ostello non è una struttura di tipo sanitario». C’è una mensa comune, che non può essere utilizzata, e i carrelli non possono entrare nelle stanze. Così gli operatori devono portare i pasti uno a uno. E il direttore si sfoga. «Abbiamo sentito tutti, Asl, Comune, Regione, Spallanzani. Non sono consapevoli che questa situazione non può essere gestita così. Purtroppo si avvera quello che ripetevamo a Comune e Regione da mesi: ci servono due strutture, prima che arrivi l’inverno e la recrudescenza dell’epidemia. Una struttura di isolamento fiduciario e una di ricovero per i positivi asintomatici. Ora che servono siamo impreparati». E le risposte che arrivano sono insufficienti. «Ci dicono che è solo un problema di sicurezza pubblica e che stanno assicurando la vigilanza fuori. Ma non è possibile trattare questa situazione solo come una questione di sicurezza».
L’unico segnale dalla Regione è che quattro persone saranno portate via in strutture di isolamento. «Hanno preso solo i più tranquilli da un punto di vista psichico, ma per tutti gli altri? Non è accettabile!». Ieri è arrivata l’assicurazione che anche le altre persone saranno portate via ma non prima di lunedì. «Bisognava pensarci prima. È la dimostrazione di poca attenzione», accusa ancora don Ben. «Siamo nella normalità, era annunciato – spiega Geraci –. È normale che in un centro del genere si trovino dei positivi. Ma proprio per questo bisognava predisporre delle strutture».
Gli operatori stanno facendo l’impossibile per mantenere tutti i protocolli, ma essendo operatori sociali hanno urgente bisogno di un intervento delle istituzioni. «Sono stressati e anche indossare le tute Covid provoca preoccupazioni», avverte Geraci. Dunque la Caritas sollecita una presa in carico totale degli ospiti contagiati da parte delle istituzioni. E don Ben torna a denunciare. «Siamo in ritardo, ognuno dovrebbe riconoscerlo e farsi un esame di coscienza. Ora da qui a lunedì che ci sia almeno la presenza di una persona mandata dalla Asl come presidio sanitario».