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Salute. Diabete e bambini, la svolta italiana: screening per tutti fino a 17 anni

Vito Salinaro sabato 5 agosto 2023

Uno screening rivolto a bambini e adolescenti italiani (fino a 17 anni) per identificare i soggetti ad elevato rischio di sviluppare il diabete di tipo 1. L’Italia potrebbe essere il primo Paese al mondo ad introdurlo dopo che la Camera ha approvato la proposta di legge (primo firmatario Giorgio Mulé di Fi) che prevede l’identificazione precoce dei soggetti a rischio. Il provvedimento, che riguarda anche la celiachia, è approdato al Senato l’11 luglio.
L’iniziativa si prefigge di arginare in modo deciso una malattia che, assieme alla più diffusa forma “tipo 2”, viene ormai definita la “pandemia silente del terzo millennio”. Farsene carico da subito, avrebbe la conseguenza di migliorare la prognosi evitando che la diagnosi “ritardata” comporti temibili conseguenze, a partire dalla chetoacidosi. «L’Italia si conferma una nazione all’avanguardia nella lotta a questa patologia», spiega la presidente eletta della Società italiana di diabetologia (Sid), Raffaella Buzzetti, ordinario di Endocrinologia all’Università La Sapienza e direttore dell’unità di Diabetologia del Policlinico Umberto I di Roma.
Professoressa, screening precoce e ricerca possono cambiare la storia di questa malattia?
È quello che ci aspettiamo. La ricerca ci sta riservando grandi speranze. Recentemente è stata dimostrata l’efficacia di un anticorpo monoclonale, il Teplizumab, in soggetti ad alto rischio di sviluppare il diabete di tipo 1. Il farmaco ritarda l’esordio della malattia di 2-5 anni. Il prodotto è già stato approvato negli Stati Uniti nel novembre 2022, in soggetti a rischio di diabete tipo 1 di età maggiore di 8 anni. Aspettiamo che l’ente regolatore europeo, l’Ema, e quello italiano, l’Aifa, facciano altrettanto. E presto.
Quante persone in Italia convivono con il diabete di tipo 1?
Sono circa 300.000 ma la sua incidenza è in continuo aumento. Mentre 3,5 milioni di italiani convivono con il diabete di tipo 2. L’esordio clinico del tipo 1 avviene spesso in età pediatrica, con un picco di incidenza nella fascia di età compresa tra i 5 e i 14 anni. Secondo l’Istituto superiore di sanità il valore medio nazionale del tasso di incidenza del diabete tipo 1 nella fascia di età 0-18 anni, è di 16 nuovi casi l’anno ogni 100 mila persone.
La Sid ha da poco concluso il Forum nazionale “Panorama diabete”, che ha lanciato un Sos sul peso sociale di questa malattia. Perché è cruciale lo screening pediatrico?
Perché la predizione rimane l’arma indispensabile per poter battere il diabete tipo 1 sul tempo. Per questo, anche nel nostro Forum, la Sid ha ribadito il suo assoluto impegno a sostenere il programma di screening, se otterrà il via libera anche al Senato. Con uno sforzo comune, tra politica e operatori sanitari, riusciremo davvero a predire questa malattia.
Se l’origine del diabete continua ad essere semisconosciuta, si può invece essere certi di una familiarità della malattia, almeno in alcuni casi. Non è così?
Soltanto il 10 per cento dei casi del tipo 1 tende a concentrarsi nella stessa famiglia, il rimanente 90 per cento è sporadico. La causa è ancora poco nota. Si ritiene che, in persone geneticamente predisposte, l’esposizione ad alcuni fattori di rischio ambientali (come l’alimentazione, lo stile di vita o le infezioni virali) possa determinare l’innesco della risposta autoimmunitaria che danneggia le cellule del pancreas.
Come si combatte il diabete di tipo 1?
Ad oggi, la terapia insulinica rappresenta l’unico trattamento disponibile e salvavita per il controllo della malattia. La mancanza assoluta di insulina, infatti, non è compatibile con la vita, mentre una terapia insulinica inadeguata non garantisce un buon compenso glicemico, comportando lo sviluppo di complicanze croniche.
Eppure anche questa terapia ha avuto molti cambiamenti nel corso dei decenni…
La scoperta dell’insulina risale a poco più di 100 anni fa. Due medici canadesi, Frederick Grant Banting e Charles Herbert Best, riuscirono ad isolarla da un estratto pancreatico nel 1921. Appena un anno dopo, nel 1922, il 14enne Leonard Thompson divenne la prima persona a ricevere un’iniezione di insulina. Fino a quel momento non esisteva alcuna terapia per il diabete tipo 1 e l’aspettativa di vita era alquanto limitata. Gli anni successivi alla scoperta sono stati cruciali per lo sviluppo di tipi di insulina sempre più maneggevoli. Nel 1979 venne realizzata la prima insulina sintetica, ottenuta da Dna ricombinante, con un significativo abbattimento del rischio di reazione allergiche.
Quanto incide, oggi, la tecnologia per tenere a bada la patologia?
Guardi, un caposaldo nel controllo del diabete è rappresentato dal monitoraggio domiciliare della glicemia, anch’esso imprescindibile. Abbiamo sensori “indossabili” in grado di misurare la glicemia in modo continuo, senza il bisogno di pungersi, e in grado di avvisare il paziente in caso di ipo o iperglicemia. Questi sensori, inoltre, possono inviare in tempo reale i dati del monitoraggio glicemico direttamente al team di cura, piuttosto che ai familiari, attraverso App dedicate. Ma la tecnologia fa molto altro.
Anche al di fuori del monitoraggio?
Certo. I sistemi più avanzati sono anche in grado di “comunicare” con il microinfusore. Con una procedura semi-automatica essi rilasciano insulina: si tratta di dispositivi integrati dotati di un algoritmo di intelligenza artificiale, capaci di “leggere” il dato glicemico e rispondere erogando in ogni momento la quantità di insulina necessaria a mantenere il paziente entro il target glicemico, minimizzando così il rischio di eventi avversi e migliorando il controllo della malattia. Abbiamo però sempre un limite.
Quale?
Non sono ancora state individuate soluzioni in grado di agire sulle cause della malattia o di modificarne la storia naturale. La stessa terapia insulinica non rappresenta una vera e propria “cura”, ma piuttosto un trattamento finalizzato ad ottenere un adeguato controllo glicemico per prevenire le complicanze. Per questo la recente approvazione del Teplizumab in Usa ci fa ben sperare per il prossimo futuro.