La sordida ragnatela mafiosa di ’ndrangheta, cosa nostra e camorra avviluppa il Nord Italia. L’ultima inchiesta giudiziaria a rivelarlo, nei mesi scorsi, era stata l’operazione «Crimine», coordinata dalle procure di Milano e Reggio Calabria, con circa 300 arresti. Ieri, a disegnare un allarmante quadro d’insieme, è arrivata la relazione al Parlamento della Direzione investigativa antimafia per il primo semestre 2010. E pure una sonora conferma del presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia: «Il problema riguarda tutto il Paese – ha detto –. Con le nostre organizzazioni territoriali, abbiamo deciso di sospendere tutti gli imprenditori che non denunciano il racket. Milano lo ha già fatto».
’Ndrine lumbard. Secondo la Dia, locali di ’ndrangheta (che dipendono, per le decisioni importanti, dalle cosche madri calabre) si contano ormai in Piemonte, Veneto. Toscana, Liguria, Emilia Romagna e soprattutto in Lombardia, dove sono infiltrate nel tessuto economico e imprenditoriale. Scrive infatti la Dia che «il ciclo degli inerti, la cantieristica e la logistica collegata, la manodopera e le bonifiche ambientali, costituiscono i settori maggiormente esposti al rischio di infiltrazione dell’intero indotto che si muove intorno alle grandi opere, agli appalti pubblici e privati». Le cosche presenti in Lombardia, infatti, potrebbero contare su ditte attive nel movimento terra e nella cantieristica, interagendo con ambienti imprenditoriali sani e favorendo collegamenti «con ignari settori della pubblica amministrazione, che possono favorirne i disegni economici». Un’indagine, ad esempio, ha rivelato la presenza delle ’ndrine Barbaro-Papalia nella zona sud ovest di Milano, portando all’arresto, fra gli altri, del vice presidente di una Spa, dell’ex sindaco di Trezzano sul Naviglio, di funzionari comunali e dei vertici di aziende impegnate nella gestione delle risorse idriche. E sui grandi appalti, la relazione lancia l’allerta: «È auspicabile un razionale programma di prevenzione, soprattutto in previsione delle opere previste per Expo 2015, che coinvolga non solo le autorità istituzionalmente deputate alla vigilanza, ma anche tutti i soggetti a vario titolo coinvolti nella relativa filiera».
Cosa nostra e camorra.Ma al Nord sono presenti, riferisce la Dia, anche i tentacoli dei clan siciliani: «In Lombardia non sono mancati qualificati segnali della presenza di cosa nostra nel territorio dove, oltre alle attività criminali, la stessa ha concretizzato importanti relazioni sotto traccia con ambienti economici-finanziari».
Boss in gonnella. La relazione segnala inoltre come, anche per via dell’alto numero di arresti e di catture degli ultimi anni, diversi clan siano stati costretti ad innalzare la "quota rosa" dei vertici: da gennaio a giugno 2010, ricorda la Dia, sono state arrestate ben sette donne, con ruoli di primo piano non più raffrontabili «alle passate figure delle "sorelle d’omertà", incaricate di fornire mera assistenza agli associati».