Governo. Di Maio non ci sta su Tav e autonomie. E risfodera la revoca ad Autostrade
Più passano i giorni meno regge la strategia del rinvio e delle mezze decisioni. E sui due nodi che la maggioranza gialloverde si porta dietro dall’inizio dell’alleanza - Tav e Autonomie regionali - il momento della verità è implacabilmente arrivato. Così come una parola definitiva è ormai necessaria sulla concessione ad Autostrade per l’Italia, la cui revoca è stata minacciata poche ore dopo il crollo, lo scorso 14 agosto, del ponte Morandi a Genova. Sull’Alta velocità, in particolare, le vie di fuga per M5s si stanno consumando e da Di Maio a Toninelli, ormai, la frase è una sola: «Noi non la vogliamo, è un regalo alla Francia, la lobby del ce- mento si muove contro di noi», si sfoga il vicepremier pentastellato dopo il nuovo via di Telt ai bandi. Per poi aggiungere, entrambi: «Decide Conte...». Il premier come baricentro e parafulmine. Intanto però ieri gli avvisi per il tratto italiano della Torino-Lione sono partiti e il Movimento non si è spinto a porre un veto preventivo.
Una situazione di debolezza oggettiva, quella del Movimento. Che porta Salvini ad alzare continuamente la posta: «Nessun progetto “leggero”, a me piacciono i treni che corrono», dice in mattinata il leader della Lega ribadendo più tardi che «l’Ue ha aumentato i contributi dal 40 al 55%, se ci conviene perché dire no?». «Mai parlato di progetto “leggero”», replica Di Maio che però non ha la forza di dire di porre un diktat sulla Tav. Mentre le parti sociali, Confindustria e sindacati, chiedono di eliminare ogni riserva.
È un momento davvero complesso per il Movimento. Dopo le Europee la direzione politica si è impantanata. E così la mossa è di portare al vertice di Palazzo Chigi, ieri sera, un “fuori sacco”, la revoca della concessione ad Autostrade per l’Italia. Vertice che Salvini “vive” al modo solito: cominciato poco dopo le 20, dopo nemmeno due ore il capo leghista l’ha abbandonato per andare in tv, su Rai3, lasciando al suo posto Giorgetti. Un’occasione per far intendere che la sua preoccupazione è sull’eventuale procedura Ue sui conti: «Preoccupa chiunque, sarebbe una scelta politica perché tra i 28 siamo il terzo Paese che paga di più, poi vedersi mettere le dita negli occhi...». E ancora: «Non accetterei uno stop sul taglio delle tasse». Su Autostrade, Salvini ha avuto posizioni oscillanti. Dopo la tragedia, gridò insieme a Di Maio il suo sdegno contro la concessionaria e la famiglia Benetton. Poi progressivamente si è spostato su posizioni più prudenti. Di Maio punta a fargli dire «sì» o a spingerlo verso un «no» cui seguirebbe una sfilza di attacchi. Sarebbe anche una ripicca per come il Carroccio ha cavalcato il successo delle Olimpiadi 2026 quasi deridendo le avversioni pentastellate. Per stare nel merito, nelle ultime settimane la maggioranza ha costruito le “premesse” per la revoca della concessione: nel decreto Crescita è stata inserita una norma che cancella le ricadute giudiziarie sui funzionari pubblici che tolgono la concessione. Il timing scelto dal M5s per portare il tema al vertice (la prima colata di cemento ieri del nuovo ponte) sembra voler stringere Salvini verso un sofferto assenso.
E, in qualche modo, passare all’incasso sulla concessione servirebbe a digerire il fendente che la Lega sta per piazzare sull’Autonomia di Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna. Salvini vuole che stasera il testo-base di intesa venga varato dal Cdm e poi sottoposto a verifica parlamentare. Alle 23 fonti della Lega si limitano a parlare di «resistenze ministeriali da superare», ma che in ogni caso «nemmeno un centesimo sarà tolto alle regioni del Sud». M5s ha un’ampia frangia contraria e teme che andare al voto su un testo in Parlamento (specie al Senato) porterebbe ad una crisi. La trattativa non è sul 'se' fare l’Autonomia, bensì sui tempi con cui cedere al pressing leghista. L’obiettivo ormai dichiarato dell’ala “governista” è scavalcare luglio, termine entro cui è possibile attivare la leva del voto anticipato a settembre.