"Angoscia" e "solitudine" nella
lettera inviata al Papa dai detenuti del carcere fiorentino di
Sollicciano, in vista della presenza di Francesco a Firenze e
Prato il 10 novembre prossimo per il convegno ecclesiale. Lettera in cui si chiede al Papa di "dare voce alla loro ri-nascita, che
per noi significa il superamento della non-vita per non-persone
che siamo costretti a subire". Con un "forte richiamo alla
società civile" perchè "non volti la faccia dall'altro lato".
"Noi non abbiamo sindacati, non abbiamo partiti, nessuno che
sia in grado effettivamente di urlare un'atrocità che si ripete
ogni giorno sulla nostra pelle, sulle nostre ossa senza
soluzione di continuità. Chiediamo a te di urlare per noi ad un
Paese la cui sete di vendetta sembra essere l'unica risposta".
"Qui ogni giorno è una lotta per restare umani, per non perdere
noi stessi e la nostra dignità. Le necessità sono quelle
primarie: cibo, acqua calda, igiene, il semplice spazio vitale,
il contatto con gli affetti, la maggior parte di noi non ha
casa, né lavoro; molti non hanno istruzione; altri sono affetti
da malattie mentali o fisiche; qualcuno non vede i propri figli
per anni; quasi nessuno ha un futuro semplice; siamo gli ultimi
degli ultimi."
Il carcere, prosegue la lettera, "funziona come una
discarica, dove nascondere i problemi sociali. Ci siamo anche
convinti che essere poveri è una colpa! Cosa ci aspetta fuori?
Infatti, queste celle non vedono ospiti economicamente ricchi e
questo non può essere una coincidenza".
Dal Papa i detenuti fiorentini si aspettano "un segnale
concreto capace di rompere il circolo vizioso della consuetudine
che vuole i poveri sempre colpevoli. Fallo, se non per noi, per
i piccolissimi cuccioli d'uomo che senza colpe sono nati e
crescono reclusi. Per i bambini che vivono (si fa per dire) i
loro primi sei anni di vita in cella con la propria
mamma".