Attualità

La storia. Depressione post partum, guarire si può

Lucia Bellaspiga martedì 14 ottobre 2014
«La bambina reclamava affetto. Ma io non la "sentivo". Non c’era proprio». Ha colpito anche gli esperti, la testimonianza di Silvia e Francesco, presentata oggi a Roma durante il convegno internazionale "Depressione pre e post-partum", organizzato da Strade Onlus. Quella neonata partorita da lei Silvia non la vedeva proprio, non la riconosceva, non provava nulla, come di fronte a un oggetto inanimato. E verso un oggetto inanimato non scatta l’attaccamento. La sua depressione post partum era delle più gravi, resa ancora più radicale dalla contemporanea depressione del marito... Eppure la storia di Silvia è a lieto fine ed è stata trattata proprio come un caso che fa scuola, perché insegna una cosa fondamentale: che guarire si può. «Attorno a me la famiglia si è compattata - racconta (vedi video) -, mia cognata in questi due anni di mia completa assenza ha fatto totalmente da mamma. Poi sono guarita... in realtà io non ho partorito la mia bimba nel 2002, ma nel 2004, solo allora l’ho scoperta».
«Si tratta di un’interessantisisma storia di guarigione», commenta Antonio Picano, presidente di StradeOnlus e dirigente psichiatra al San Camillo di Roma. Il padre aveva un angioma cutaeo sul sopracciglio e chi glielo ha cauterizzato ha per errore bruciato anche l’occhio, da qui la depressione. Che si è sovrapposta alla contemporanea depressione post partum di Silvia: non riconosceva la bimba, vedeva solo un corpo estraneo e non sviluppava la funzione dell’attaccamento». Un caso che aveva tutti i requisiti per aggravarsi e sfociare in tragedia. Ma la moglie del fratello di Silvia, (sua cognata), «in maniera molto intelligente ed efficace si è affiancata con premura - spiega Picano -. Era donna capace e già madre di suoi figli».Tutto cambia l’8 agosto del 2004, quando Silvia improvvisamente "vede" sua figlia, la "sente" e si scopre madre: dopo un lungo e difficile percorso è guarita. A quel punto l’operazione delicatisisma è trasferire una bimba di due anni dalla famiglia in cui intanto è cresciuta, alla sua famiglia naturale. «Abbiamo messo in campo una enorme quantità di risorse - spiega lo psichiatra -, non era facile sradicarla e farle riprendere la relazione con sua mamma. Ricordo il dolore straordinario della cognata, ma con grande umiltà si è affidata a me e ha rispettato le regole ferree che le ho dato». Oggi la bambina, 12 anni, è serena e sta benissimo. La sua storia insegna due cose: «Che la depressione post partum è incompatibile con la funzione materna, e per questo va assolutamente intercettata in tempo (sono 80mila le donne italiane che ne soffrono ogni anno, sulle 550mila che partoriscono). E che guarire è possibile, lavorando in tanti e bene». Ma quante volte la «enorme quantità di risorse» viene messa in campo, come per Silvia? Quante madri invece restano sole e nessuno si accorge della loro depressione?