Per la pace in Ucraina. «Cosa farebbe don Tonino Bello? Sarebbe in prima fila con noi»
Testimone. Giuliana Martirani
«Se fosse ancora con noi, don Tonino Bello sarebbe di nuovo in prima fila a ribadire la necessità dell’obiezione di coscienza alle spese militari». Non ha dubbi la professoressa Giuliana Martirani, che con il compianto “vescovo con il grembiule” ha collaborato a lungo condividendo anni di battaglie per la pace e la nonviolenza. «Mi ha sempre stupito, oltre alla radicalità del suo amore per il Vangelo e alla bellezza delle sue intuizioni, la quantità di testi sulla nonviolenza che teneva sulla sua scrivania. Aveva un’empatia straordinaria, era sempre capace di farti sentire la persona più importante del mondo».
Già docente di Geografia dello sviluppo e di Politica dell’ambiente all’Università di Napoli, Martirani è una memoria storica del movimento nonviolento italiano, autrice di numerosi libri sui temi dello sviluppo, della pace e dell’ambiente. Negli anni ’80 è stata presidente del Mir, il Movimento Internazionale della Riconciliazione, quando il vescovo Bello era presidente di Pax Christi Italia. «Quella era l’epoca d’oro della nonviolenza in Italia, con don Tonino incominciammo a creare case per la pace un po’ ovunque. Poi venne il dramma della ex Jugoslavia, e lavorai con Alex Langer al Forum per la pace e la riconciliazione di Verona».
Mai c’era stata però in Europa una corsa al riarmo come quella cui stiamo assistendo adesso, dopo l’invasione russa dell’Ucraina. «Le cause sono sempre le stesse – sostiene Martirani –. Il dio denaro e l’ignoranza della gente. Un’escalation come questa non si vedeva da quarant’anni, e purtroppo né l’Europa né gli Stati Uniti sembrano voler trovare una via d’uscita alla guerra scatenata da Putin, ma soltanto dare nuove forniture di armi a Kiev. Come in tutte le guerre precedenti dobbiamo domandarci cui prodest. Soltanto così capiremo a chi giova che la povera gente venga ammazzata. Il Kosovo, per esempio, era molto importante perché da quel territorio passava il cosiddetto “corridoio numero quattro” che trasporta il petrolio del Mar Caspio nell’Europa del sud. Sull’altro versante, dopo la caduta dell’Urss, si è scatenata la competitività tra gli oleodotti statunitensi e quelli dei Paesi ex sovietici».
All’epoca della guerra in Kosovo, seguendo l’esempio di Alex Langer, gli attivisti del Mir e di altre realtà nonviolente italiane si impegnarono nell’appoggio alle forme di difesa popolare nonviolenta promosse da Ibrahim Rugova, il “Gandhi dei Balcani”. Ma non bastò a evitare un conflitto violentissimo.
«La verità – prosegue Martirani – è che noi pacifisti indichiamo da decenni ricette contro la guerra che sono sistematicamente eluse dai potenti, mentre l’opinione pubblica è sempre più confusa e messa di fronte al ricatto morale delle armi inviate per difendere la democrazia. Si dovrebbe invece cercare di spiegare certe dinamiche geopolitiche, ma non si parla mai dei corridoi petroliferi, non si insegna più la geografia nelle scuole e l’Associazione dei geografi, di cui faccio parte da tanti anni, è allineata con il mondo industriale ed economico».
Martirani afferma di non essere stupita dall’atteggiamento di assuefazione alla guerra che spinge l’opinione pubblica italiana a parlare di armi nucleari come se fossero un gioco. «Poco prima di morire, il grande filosofo Karl Popper scrisse un saggio, Cattiva maestra televisione, in cui spiegò che la tv sarebbe stata in grado di diffondere la violenza nella società, provocando una perdita dei sentimenti normali del vivere comune. E disse che se Hitler avesse potuto disporre del mezzo televisivo non avrebbe mai perso la Seconda guerra mondiale. A tutto ciò va aggiunto il potere distruttivo che possono avere oggi i social network e le fake news».
Di fronte a sfide internazionali sempre più complesse e difficili, i pacifisti italiani non possono contare più su figure come don Tonino Bello e Alex Langer. «Ma per fortuna abbiamo papa Francesco e il cardinale Matteo Zuppi – conclude - e possiamo contare sulla voce di una Chiesa universale come quella cattolica. Dunque non dobbiamo sentirci soli».