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MAFIA. Delitto Rostagno, la verità dopo 21 anni L'ordine fu dei boss: «Dava fastidio»

da Trapani Lilli Genco sabato 23 maggio 2009
La firma nell’omicidio del giornalista Mauro Rostagno è impressa in un proiettile. Un calibro 12 che la polizia scientifica del gabinetto regionale di Palermo ha sottoposto a comparazione aggiungendo un tassello, significativo, al puzzle composto pazientemente dagli investigatori. Che comunque sul movente non hanno dubbi: omicidio mafioso. Un convincimento che oggi trova ulteriore conferma nella perizia balistica (l’accertamento comparativo non era mai stato fatto) e già prima era stato avallato dalle dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia, i quali a più riprese hanno affermato che a sparare al sociologo-giornalista Mauro Rostagno il 26 settembre del 1988, nella sua auto, nella frazione di Lenzi è stato Vito Mazzara, mafioso trapanese attualmente in carcere. Il sicario, uno dei più feroci ed abili, non avrebbe agito da solo ma con altri due killer, al momento ignoti, e per diretto ordine del capo-mafia trapanese Vincenzo Virga. I colpi d’arma contro Rostagno - questa è l’ultima novità - sarebbero stati esplosi dalle stesse armi utilizzate in altri omicidi compiuti sul finire degli anni ’80 in provincia di Trapani, un fucile calibro 12 semi-automatico e una revolver calibro 38. Stesso modus operandi: quello di un esperto sparatore (Vito Mazzara) capace di mettere in atto un’operazione inusuale proprio per confondere le tracce balistiche. Un’astuzia che è la sua firma più eloquente. Come già raccontato dai pentiti, a deliberare la morte del giornalista sarebbe stato il vertice mafioso trapanese, un gotha potente che sul finire degli anni ’80 aveva dato prova della sua forza militare e della sua capacità di controllo del territorio, con rapporti, poi svelati dalle indagini giudiziarie, con la massoneria deviata e pezzi importanti della classe politica. Fu il"patriarca" Francesco Messina Denaro, padre del super latitante Matteo ad ordinare al capo mafia trapanese Vincenzo Virga di procedere all’uccisione di Rostagno. L’indicazione accusatori, scrivono gli investigatori, del pentito Sinacori è precisa: «Messina Denaro davanti a me dice a mastro Ciccio ( Francesco Messina, boss mazarese) che ha dato l’incarico a Vincenzo Virga». Certo è che Rostagno era una personalità scomoda. Torinese, giunto a Trapani dopo l’esperienza di Lotta Continua e una parentesi in India, aveva fondato la comunità per il recupero di tossicodipendenti "Saman" collaborando con la tv locale Rtc dove ogni giorno raccontava fatti e circostanze,"toccava" con le sue denuncie diversi "uomini d’onore". L’esame balistico conferma quello che diversi pentiti tra cui Giovanni Brusca, Antonio Patti, Francesco Milazzo hanno riferito «sull’epicentro organizzativo ed esecutivo» dell’omicidio. Un’intercettazione ambientale in carcere, inoltre, avrebbe rivelato il timore di Vito Mazzara, che venisse scoperto un caveau segreto nella sua casa con l’ordine ai suoi familiari di far sparire «qualsiasi cosa fosse celata». L’inchiesta sull’omicidio Rostagno è stata costellata da momenti bui e colpi di scena con ipotesi investigative che portavano anche in Somalia. Nel 1996 l’indagine "codice rosso" aveva individuato una pista interna alla comunità Saman e venne arrestata anche la moglie di Rostagno. Tutti gli accusati furono assolti in fase istruttoria. «Le custodie cautelari di ieri definiscono il quadro delle responsabilità mafiose che ciascun cittadino trapanese aveva riconosciuto subito», scrive l’associazione "Ciao Mauro" che nel 2007 ha avviato una campagna per chiedere la verità sull’omicidio raccogliendo 10mila firme. È stata l’intuizione investigativa del capo della squadra mobile di Trapani e le nuove tecnologie a salvare l’indagine da un’archiviazione tecnica e a scrivere un nuovo capitolo definendo la svolta mafiosa nell’omicidio.