Sull’urgenza e la necessità di un decreto legge e ancor più sulla sua costituzionalità ci sono tutta una serie di controlli ai quali il presidente della Repubblica non può sostituirsi. C’è il Parlamento, che sul primo punto può esprimersi in sede di conversione entro 60 giorni. C’è soprattutto la Corte costituzionale, se viene investita della questione. Ed è proprio da alcuni ex presidenti della Consulta e da esperti di questa branca del diritto che arrivano perplessità sull’operato del Colle. Non tanto sul suo tentativo di persuasione affinché non fosse utilizzato lo strumento della decretazione d’urgenza, quanto sul rifiuto di adeguarsi alla decisione del Governo. Secondo l’articolo 77 è l’esecutivo ad avere l’esclusiva responsabilità, ricordano. E a chi, come il costituzionalista del Pd Stefano Ceccanti, invoca l’articolo 87 della Carta per dare al Capo dello Stato la possibilità di non firmare, l’ex presidente della Consulta
Antonio Baldassarre ricorda che «quell’articolo va interpretato in armonia con altri, come appunto il 77. Isolarlo dal resto non mi pare un metodo corretto ». Per Baldassarre «quello che accade è grave, perché introduce un confitto che si risolverà con la delegittimazione dell’uno o dell’altro potere. Una cosa di cui l’Italia non sentiva proprio il bisogno e che poteva essere evitata con un po’ di ragionevolezza». Anche un altro ex presidente della Consulta,
Cesare Mirabelli, ritiene lo scontro «molto forte». In più non ravvisa nel testo licenziato dal Consiglio dei ministri problemi di costituzionalità. «Ha una funzione in qualche misura dilatoria, non si contrappone alla decisione giudiziale e non la vanifica. È una sorta di moratoria e garanzia. Tanto più in un settore come quello della volontaria giurisdizione, nel quale ci sono provvedimenti e autorizzazioni che non passano in giudicato». «Non v’è dubbio che il presidente abbia il potere di suggerire e consigliare, indipendentemente dalle forme. Ma, con tutto il rispetto per la sua altissima figura, i presupposti per l’emanazione del decreto ci sono», afferma l’ex vicepresidente della Corte
Massimo Vari. «Davanti a una formale deliberazione dell’esecutivo è normale che il presidente proceda all’emanazione. Siamo, dunque, davanti a un deliberato rifiuto e a un fatto gravissimo. Il presidente è chiaramente uscito dalle sue funzioni. Ha mancato a un suo dovere costituzionale», è l’opinione di
Marco Olivetti, docente di Diritto costituzionale all’Università di Foggia. Sul fatto che il Quirinale non potesse intervenire a bloccare il decreto è netto anche Baldassarre: «Basta leggersi i classici della materia, a partire dal saggio sul decreto legge di Esposito, un maestro», spiega. «Piena libertà di far conoscere le sue perplessità. Soprattutto prima. E, quindi, di persuadere il governo. Ma questo ha la fiducia della maggioranza e la legittimazione democratica, quindi deve avere la parola definitiva. Non il presidente, che non è la Corte costituzionale», prosegue Olivetti. Mirabelli, poi, giudica i rilievi del Colle «non tali da escludere un provvedimento d’urgenza ». Anche perché, sostiene, «una cosa è dettare una disciplina sostanziale, nella quale si regolano diritti fondamentali, altro è un provvedimento che introduce un elemento di cautela e garanzia». Come appare essere invece il decreto, il quale, ultimo rilievo, «pur nascendo evidentemente dalla situazione che si è creata, è impostato come lettura di carattere generale che riguarda tutte le persone in quelle condizioni e quelle che devono compiere atti su di esse». Non, insomma, un intervento ad personam. Sull’aspetto dell’urgenza su un caso singolo Vari, poi, non concorda sul fatto che esso non basterebbe a motivare la necessità di un decreto. «A parte il valore assoluto di una vita, c’è una giurisprudenza della Corte che definisce la straordinarietà: eventi naturali, comportamenti umani, o anche atti e provvedimenti di pubblici poteri. È nel contesto della vita sociale, non nel dibattito parlamentare che va ricercata la situazione da tutelare nelle more dell’emanazione di una legge». Infine, «quando ci sono in ballo lesioni gravissime alla Costituzione si può giustificare una presa di posizione del Quirinale. Però, sugli articoli citati – 3, 13 e 32 – ci sono due punti di vista». E anche la vita è un valore costituzionalmente garantito. Anche su uno dei precedenti di lettere invia- te per rifiutare un decreto – resi noti ieri dal Quirinale – Baldassarre ha da obiettare. Casi di divergenze «ci sono stati, ma si sono risolti bonariamente. Non è il governo che si deve adeguare. Nel caso dell’intervento di Pertini si realizzava un vulnus gravissimo della Costituzione, perché senza di esso non si sarebbe tenuto un referendum che era pienamente legittimo. Ma non è questo il caso». Napolitano invece, conclude Olivetti, i decreti «finora li aveva sempre emanati. Tranne in un caso, all’epoca del governo Prodi, che accolse i suoi rilievi in materia di Giustizia. C’è probabilmente una ragione ideologica per questo rifiuto e ciò fa sì che il Capo dello Stato venga meno alla sua funzione di garante della Costituzione per ritornare ad essere uomo di parte». Antonio Baldassarre Massimo Vari Cesare Mirabelli Marco Olivetti