Il dibattito. Oltre mille emendamenti al Senato, per il ddl Zan rinvio di fatto
Continua il confronto in Senato sul ddl Zan. Nella foto Roberto Calderoli, Pietro Grasso e Monica Cirinnà
Scivolano lentamente, tra accuse e recriminazioni dette e ridette, i 19 interventi al Senato sul ddl Zan (sui 35 iscritti parlare), e a sera cala il sipario – verosimilmente fino a settembre – sulla contestata legge fortemente voluta da Pd e M5s. La discussione generale pure incompleta va avanti nell’aula di Palazzo Madama, mentre arriva la richiesta – che per i dem sa più di minaccia – di Fdi e Lega di un voto, meglio se segreto, per evitare il passaggio alla votazione degli articoli.
Così, senza l’accordo richiesto da Matteo Salvini e caldeggiato da Matteo Renzi, tra la pioggia del migliaio di emendamenti (solo dalla Lega ne arrivano 672, mentre Paola Binetti ne deposita 80), e la tensione ormai alle stelle, tra i dem sembra crescere la consapevolezza che spingere sul testo ora sarebbe un rischio troppo grande. E alla fine la conferenza dei capigruppo si arrende al calendario fitto del Senato, e il testo sull’omotransfobia dovrebbe slittare a dopo la pausa estiva.
Tra le sorprese che convincono il Pd a non calcare la mano sul ddl, i quattro emendamenti di Italia viva (due a firma di Davide Faraone, del collega Giuseppe Cucca e della presidente del gruppo Autonomie Julia Unterberger, gli altri due del socialista Riccardo Nencini). Per lo più le richieste di modifica si concentrano sugli articoli 1, 4 e 7, vale a dire identità di genere, libertà di espressione e gender nelle scuole.
Nello specifico dei tre articoli più contestati entrano anche le proposte di Iv, che risolverebbe la questione cancellando la definizione di identità di genere dall’articolo 1 (si sanzionano semplicemente le discriminazioni «fondate su misoginia, abilismo, omofobia o transfobia»), tutelando la «piena autonomia scolastica» nell’articolo 7, infine inserendo la "clausola salva-idee", sostituendo la frase «sono fatte salve» con «non sono compromesse» e citando direttamente l’articolo 21 della Costituzione sulla libertà di espressione. Quanto all’articolo 4, Nencini propone di modificarlo del tutto: «Ai fini della presente legge è fatta salva qualunque forma di manifestazione del pensiero che non configuri istigazione al compimento di atti discriminatori o violenti».
Alla fine della giornata, dunque, risuonano ancora le richieste di dialogo di Salvini (che incontra una delegazione di GayLib, formata dal segretario nazionale Daniele Priori e dal presidente Luca Maggioni), per il quale «bisogna tenere quel che di buono contiene» il ddl Zan e «quindi aumentare le pene per chi offende, aggredisce o insulta due ragazze o due ragazzi che hanno tutto il diritto di amarsi senza che nessuno si permetta di dire alcunché, togliendo però i bambini dalla contesa politica, la teoria gender nelle scuole, il bavaglio e la censura». E risuona l’eco di Enrico Letta, per il quale resta «impossibile per noi negoziare con la Lega, con un partito che ha presentato oltre 700 emendamenti». Gli stessi che il leader della Lega si dice pronto a ritirare di fronte all’apertura di una trattativa.
Il segretario del Pd non si fida. Piuttosto i dem presentano «un ordine del giorno generale, che chiederemo di votare prima dell’esame degli emendamenti, per dare piena chiarezza interpretativa sull’intero provvedimento». Un modo, spiega una nota del gruppo, per «fissare le basi di un confronto trasparente in aula. Sull’articolo 1, spiega la nota, «non può mai essere il solo elemento volontaristico a determinare la rettificazione di attribuzione di sesso, bensì un percorso di accertamento rigoroso svolto in sede giudiziale».
Quanto all’articolo 4, «va garantita sempre la tutela delle libere manifestazioni di pensiero». E sul 7 «vanno promosse disposizioni finalizzate» a «trasmettere la conoscenza e la consapevolezza riguardo i diritti e i doveri costituzionalmente garantiti della persona». Riflessioni che restano agli atti, in attesa che il Senato trovi uno spazio per riprendere il filo. Forse tra il 3 e il 6 agosto, almeno per chiudere la discussione generale. E stavolta a premere per non lasciar cadere il testo è Iv, convinta che i suoi emendamenti possano condurre al compromesso.