Ddl Zan. 10 dem per l'intesa. Lega: accordo o sarà battaglia
Al momento, eccetto il senatore dem Mino Taricco che ha deciso di uscire allo scoperto, il fronte dei «mediatori» del Pd resta sotto coperta. E reagisce con veemenza a chi li indica come possibili 'franchi tiratori' in eventuali scrutini segreti sul ddl Zan: «Voteremo secondo le indicazioni del gruppo», è la frase-tormentone della loro difficile giornata sotto i riflettori. Restano però le loro esternazioni a favore di cambiamenti, anche in extremis e anche con il centrodestra, mai rinnegate. Nella sinistra del partito Valeria Fedeli e Valeria Valente. Tra i 'cattodem', oltre a Taricco, anche Stefano Collina è stato molto chiaro, e più volte, negli incontri del gruppo di Palazzo Madama con Enrico Letta. Si portano dietro dubbi sul testo anche Vito Vattuone e Salvatore Margiotta.
Hanno portato le loro riserve nel gruppo senatoriale pure Vanna Iori, Andrea Ferrazzi, l’attuale sottosegretaria Assuntela Messina. Non convinto della formulazione del ddl Zan uscita dalla Camera nemmeno Alessandro Alfieri. Ieri in diversi tra questi senatori, in particolare Ferrazzi e Messina, hanno voluto smarcarsi da ogni sospetto e da quel cortocircuito per cui chi esprime dubbi è un potenziale 'tramatore'. Aspettano, per mettere in campo delle proposte, che si svelenisca il clima. Quello che il socialista Riccardo Nencini definisce «clima infame» intorno a chi «vuole modificare la legge Zan senza intaccarne i principi». In attesa che arrivi la data-chiave del 13 luglio, tutti restano immobili anche perché il segretario dem Enrico Letta non lascia margini: «Salvini è amico di Orban, non è credibile », dice il leader del Pd. E quindi la linea non cambia: in aula e poi si vota il ddl così come uscito dalla Camera, senza cedere alla richiesta di Iv di concordare delle modifiche insieme alla Lega. Posizione che spinge Matteo Salvini a lanciare un avvertimento: «Sono loro a mettere a rischio il governo con questi temi divisivi, non io con i referendum sulla giustizia». Italia viva, sotto il fuoco incrociato dei dem e degli influencer Fedez e Ferragni (ieri il rapper ha animato un 'convegno' sui social con Zan, Capato e Civati), intanto annuncia che non presenterà richieste di voti segreti.
Quei voti segreti intorno a cui potrebbe polarizzarsi il dissenso sulla legge (o, al contrario, come auspica Letta, concentrarsi un consenso maggiore del previsto). Sicuramente, in assenza di un’intesa politica precedente al 13 luglio, richieste di voti segreti le presenteranno Lega, FdI e Forza Italia. Così come, in assenza di una mediazione last-minute, il Carroccio e il centrodestra presenteranno una valanga di emendamenti. «Senza accordo sarà battaglia», avvisano i vertici della Lega. In assenza di meccanismi parlamentari tagliaemendamenti, e nell’impossibilità di un intervento del governo con l’apposizione della questione di fiducia, la carica degli emendamenti potrebbe rendere estenuante l’iter. Ed è proprio in questa prospettiva di iter estenuante che potrebbe annidarsi l’ultima possibilità di un dialogo, di nuovo promosso da Iv. Non è certo, ma è probabile, che i renziani presentino formalmente i 4 emendamenti annunciati pochi giorni fa. È certo invece che il presidente della commissione Giustizia del Senato, il leghista Andrea Ostellari, ri-presenti in aula la sua mediazione fondata sulla cancellazione del testo della definizione di «identità di genere».
Dal punto di vista procedurale, non dovrebbe esserci un voto segreto su proposte di abrogazione dell’articolo 1, mentre sarebbero ammissibili su emendamenti sostitutivi. In ogni caso il 13 potrebbe iniziare solo la discussione generale, l’esame vero e proprio sarebbe successivo all’indicazione, da parte della presidente del Senato Casellati, del termine per gli emendamenti. Ridottissimi invece i margini per trovare una quadra in commissione Giustizia.