Biotestamento. Dat, Renzi spinge per la legge. Ma in Senato slitta la decisione
Una veduta dell'aula del Senato (Ansa)
Il segno dell’incertezza è nella decisione di rinviare la riunione dei capigruppo a domani se non addirittura a martedì prossimo. Perché una volta concluso l’esame della manovra, il Senato ha seri dubbi su come concludere la legislatura. Ovvero, sulla decisione di presentare o meno in Aula, e in che ordine, i due provvedimenti 'sensibili' che la Camera ha già licenziato e per i quali Palazzo Madama rappresenta il giudice di ultima istanza: lo ius culturae e il fine vita.
Su cittadinanza e Dat, infatti, si gioca una partita politica ed elettorale complessa. Il punto fermo è la decisione del segretario del Pd Matteo Renzi di puntare su una sola delle due misure, il fine vita, perché teoricamente gode di un consenso parlamentare più ampio. Ieri dai vertici del Nazareno sono piovuti appelli su appelli perché il gruppo dei senatori dem si faccia carico dell’indirizzo del segretario.
I giorni di riflessione presi dai capigruppo, però, indicano che le intenzioni del segretario dem non sono sufficienti da sole a determinare il calendario di Palazzo Madama. Perché c’è un altro punto fermo e l’ha posto il premier Paolo Gentiloni: sul fine vita il governo non ha intenzione di porre la questione di fiducia, lasciando tutto al gioco parlamentare che si annuncia fitto di emendamenti, ostruzionismi e 'tattiche' per superare le opposizioni (il famoso 'canguro' già minacciato ai tempi delle unioni civili e poi superato dalla decisione di Renzi di mettere la fiducia). La fiducia, Gentiloni, l’avrebbe messa anche rischiando sullo ius culturae, ma arrivati a questo punto della legislatura contano, e molto, i sondaggi sulla popolarità che i singoli provvedimenti hanno presso l’opinione pubblica.
Renzi punta sulle Dat «per logica matematica », spiegano dal suo treno in tour in Toscana. Sul fine vita, infatti, M5S si è pronunciato favorevolmente. Una combinazione Pd-sinistra-M5S ha i numeri per superare la forte opposizione che faranno Alternativa popolare, Lega, Forza Italia, Idea e le altre componenti moderate del centrodestra. Non è un caso che ad annunciare battaglia sia proprio il leader del Carroccio Matteo Salvini: «Mi occupo di vivi, non di morti», dice con un’espressione che fa arrabbiare anche i familiari di chi lotta con malattie durissime. «Recuperi umanità e rispetto», replica per i dem Debora Serracchiani. Ma non è un caso nemmeno che la risposta più incisiva a Salvini arriva da Alessandro Di Battista di M5S: «È una legge che serve ai vivi, si può fare in 24 ore». Al punto che Salvini è costretto a spiegare meglio: «Sono disposto a ragionare, il Pd dovrà scegliere tra cittadinanza e fine vita ma io volevo dire che ci dobbiamo occupare anche di come far vivere bene milioni di italiani sotto la soglia di povertà».
Se comunque il gruppo Pd al Senato decidesse, sulla spinta di Renzi, di puntare sul fine vita, lo scenario sarebbe quello di migliaia di emendamenti dal centro e da destra. «Una lotta all’ultimo sangue», avvisa Quagliariello. E anche Ap non presterà i suoi voti perché «il testo va cambiato su idratazione e alimentazione e sul ruolo del medico», spiega Maurizio Lupi. Pure Gian Luigi Gigli, deputato di Des-Cd e presidente del Movimento per la vita, dice che «senza cambiamenti è meglio uno stop». Il punto politico è se davvero M5S aiuterà il Pd. Dall’ufficio di presidenza dem ricordano che in altre circostanze - in particolare le unioni civili - i pentastellati si sono ritirati all’ultimo minuto, da qui la prudenza sul calendario dei lavori.
A farne le spese, stando all’istantanea di queste ore, sarebbe lo ius culturae. Dai vertici del Pd si ammette alla luce del sole che, ai fini di un’alleanza con Pisapia, serve un tentativo su uno dei due temi sensibili. Tra cittadinanza e fine vita, il meno rischioso - anche per la stabilità dell’esecutivo - sarebbe il secondo. Ma la partita è ancora in corso. L’agenda si potrebbe ribaltare con il ritorno di Gentiloni dall’Africa.