L'ex pm. Dambruoso: «Il pericolo maggiore? La radicalizzazione dei più giovani»
Stefano Dambruoso, l'ex deputato tornato in magistratura
«I vessilli neri del Califfato non sventolano più su Raqqa e Mosul, ma le indagini mostrano come quella propaganda di odio e di terrore abbia colonizzato giovani menti, anche in Italia. È il pericolo maggiore: se non sapremo arginarlo, non solo sul piano investigativo ma anche sociale e culturale, rischieremo di pagare un amaro tributo in futuro». Dopo una legislatura come deputato di Scelta civica e questore della Camera, Stefano Dambruoso sta per indossare di nuovo la toga: se il plenum del Csm confermerà quanto deciso in terza commissione, andrà in Procura a Bologna, dove potrebbe tornare a occuparsi di contrasto al terrorismo, sul quale ha indagato per anni come pm a Milano. Al telefono dagli Usa, ragiona con Avvenire sulle ultime indagini: «Le preoccupazioni del Viminale sono condivisibili, sia sul rischio 'lupi solitari' che sulla minaccia rappresentata dai returnees».
Per quali ragioni?
Dalle aree di conflitto di Siria e Iraq, c’è un reducismo numeroso. I combattenti partiti dal nostro Paese non sono tanti, ma per molti altri siamo stati terra di transito e, dunque, di potenziale 'ritorno' verso i Paesi d’origine.
La inquietano le presenze 'nostrane', come la presunta rete nel Lazio che dava appoggio ad Anis Amri?
Ci sono persone che offrono assistenza 'logistica', case 'sicure' e documenti falsi. E ci sono reti di indottrinamento e reclutamento che possono fare proseliti fra persone fragili, giovani stranieri o italiani convertiti.
A Foggia, la polizia ha arrestato un 'cattivo maestro' che, in italiano, indottrinava bambini come a Raqqa, nel Califfato.
È un campanello d’allarme. Quell’indagine mostra quanto sia facile per i seminatori d’odio pescare fra i più giovani, perfino fra i bimbi, per trasformarli col tempo in jihadisti.
Il ministro dell’Interno parla di «un cuore di tenebra» nel nostro Paese.
È un’immagine angosciante, ma efficace. La sabbia nella clessidra scorre e ormai abbiamo pochi anni per lavorare sul piano della prevenzione culturale e sociale, per evitare che crescano nuovi italiani non integrati, portatori di risentimento sociale. È nelle Molenbeek italiane e nelle carceri che bisogna entrare, per evitare che nascano 'soldati' del terrore. Sarebbe una iattura che pagheremmo con anni di attacchi, come sta avvenendo in Francia, Belgio, Germania e altri Paesi europei, dove diversi attentatori sono figli del malessere delle seconde e terze generazioni.
Roma sta vivendo una Pasqua 'blindata', con la vigilanza di 10mila agenti. La minaccia è cresciuta? È un prezzo da pagare, in tempi segnati da attentati e migliaia di falsi allarmi. E non è detto che basti: come si è visto, un uomo solo con un’arma o un furgone può colpire luoghi non presidiati, come il supermercato di Carcassonne.
L’Islam moderato italiano ha maturato gli anticorpi sufficienti a isolare gli estremisti?
Nella comunità musulmana cresce la consapevolezza di non volersi far contagiare da predicatori radicali. Ma da sola non è sufficiente. Serve un ventaglio di interventi. E, nella legislatura appena conclusa, il Parlamento ha perso un’occasione.
Si riferisce al disegno di legge sui fenomeni di radicalizzazione, proposto da lei e dal deputato del Pd Andrea Manciulli?
Già. Siamo arrivati letteralmente all’ultimo giorno della legislatura e neppure allora il Parlamento è riuscito ad approvarlo, nonostante ci fossero le coperture necessarie. Può sembrare un rimpianto solo personale, ma non è così.
Perché?
Perché quel testo avrebbe introdotto politiche per analizzare e prevenire la radicalizzazione. Per una volta, l’Italia avrebbe potuto alzare antenne istituzionali e sociali prima, invece di pensare a norme d’emergenza, dopo.
Chi non ha voluto quella legge?
È un caso di miopia del legislatore. Forse, in assenza di attentati in Italia, governo e Parlamento si sono convinti che la situazione sia 'gestibile' attraverso le eccellenti capacità investigative di forze dell’ordine e intelligence – dimostrate anche in queste ore – e con le espulsioni di elementi radicali.
Lei e Manciulli non siete stati ricandidati. Chi rilancerà quelle proposte nel nuovo Parlamento?
Non so. In cuor mio, confido che il ministro dell’Interno uscente Marco Minniti, che ha competenza e autorevolezza, possa portare a compimento quel progetto che, a onor del vero, era nato da una sua intuizione.