Attualità

Migranti. Conventi «aperti»: l'appello del Papa dà frutti

Laura Badaracchi venerdì 12 settembre 2014

Poco più di un anno fa, nel pomeriggio del 10 settembre, il gesuita Jorge Mario Bergoglio varcava la soglia della sede romana del Centro Astalli, braccio italiano del Jesuit refugee service, voluto dal padre generale Pedro Arrupe perché la Compagnia di Gesù fosse accanto ai richiedenti asilo e ai migranti in difficoltà. «La visita di Papa Francesco ha riempito tutti noi di speranza e fiducia. Nonostante i molti problemi, in questi mesi abbiamo avvertito dei segni incoraggianti di cambiamento. Tante persone ci hanno contattato per iniziare il volontariato al Centro Astalli e tanti altri hanno mostrato, in molti modi diversi, interesse per la causa dei rifugiati», riferisce padre Giovanni La Manna, presidente del Centro Astalli. Quel giorno il Pontefice lanciò un appello preciso ai religiosi e alle religiose: «I conventi vuoti non servono alla Chiesa per trasformarli in alberghi e guadagnare i soldi. I conventi vuoti non sono nostri, sono per la carne di Cristo che sono i rifugiati. Il Signore ci chiama a vivere con generosità e coraggio l’accoglienza nei conventi vuoti». Parole accolte da un fragoroso applauso nella Chiesa del Gesù, affollata da stranieri cristiani e musulmani, volontari, operatori. «È stata una delle prime visite del suo pontificato a distanza di due mesi da quella fatta a Lampedusa», aggiunge il presidente del Centro Astalli. «In questo anno, grazie alla visita di Papa Francesco, abbiamo avuto la conferma di una convinzione che nasce dal lavoro con i rifugiati: per innescare il cambiamento della società che tutti auspichiamo, è necessario partire dai piccoli gesti del quotidiano. Solo così si può tracciare una nuova strada da provare a percorrere insieme», rimarca padre La Manna. Qualcosa si è mosso e si sta muovendo nella capitale, prima e dopo lo 'scossone' bergogliano, tra gli istituti dei consacrati presenti nella Capitale.

A maggio, in via del Casaletto, è stata ufficialmente inaugurata 'Casa San Giuseppe', un appartamento indipendente all’interno della sede provinciale della Suore di San Giuseppe di Chambéry. La congregazione, dal carisma ignaziano e gesuitico, aveva individuato la cura dei migranti e dei rifugiati tra le priorità della sua missione; così ha pensato di attuare un progetto concreto di accoglienza per rispondere all’accorato appello di Francesco: «Aprite le porte ai rifugiati». Nella casa agricola ristrutturata, dove un tempo viveva il contadino che si occupava dei terreni circostanti, vivono due rifugiati musulmani del Gambia già da qualche anno nel nostro Paese; entrambi parlano italiano (oltre all’inglese e alla loro lingua) e lavorano. Lamin ha appena 19 anni, mentre Alahagie è trentunenne. I tappetini per la preghiera sono arrotolati in un spazio del soggiorno con angolo cottura, poi ciascuno ha la sua stanza e le sue chiavi. «Dopo una giornata di lavoro, al rientro, per la prima volta mi sento a casa», racconta Alahagie.  In via di Val Cannuta le religiose della Compagnia Santa Teresa di Gesù hanno da anni 'ospiti' in casa. Ad agosto è partito per Venezia il pachistano Kaiser, con sua moglie e i due figli. Insegnante e giornalista, perseguitato a motivo dei suoi articoli che denunciavano le violenze subite da cristiani, aveva chiesto asilo anni fa, svolgendo le occupazioni più svariate: facchino, venditore ambulante di biglietti. Grazie al Centro Astalli, aveva frequentato un corso per assistenti domiciliari, diventando badante di una malata di Sla (sclerosi laterale amiotrofica). A Venezia la comunità dei gesuiti gli ha offerto un impiego fisso e una casa, così si è trasferito lì con la famiglia. E le suore attendono nuovi 'inquilini'. A due passi dalla Bocca dalla Verità, in via Santa Maria in Cosmedin, la foresteria di una casa generalizia – prima deputata all’accoglienza dei parenti delle religiose in visita – si è trasformata in luogo di accoglienza per tre donne rifugiate e una delle loro figlie. Suor Gianna Baratta, delle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret, ricorda il quarto voto 'di servizio ai poveri' professato da lei e dalle consorelle: «L’appello di Papa Francesco ha fatto cadere paure e preoccupazioni. E la vita consacrata ha il dovere di rispondere per prima».