Attualità

La scomparsa. Dall'Ambrosiano al caso Moro. Chi era Carboni, il «faccendiere»

Antonio Maria Mira martedì 25 gennaio 2022

Flavio Carboni

Era «il faccendiere» per definizione ma lui negava, dicendo di essere solo «un imprenditore, un immobiliarista». Di sicuro per 50 anni è stato al centro della cronaca, spesso giudiziaria, di tanti misteri italiani. Fino all’ultimo giorno di vita. Flavio Carboni è morto ieri a Roma per un infarto a 90 anni. Li aveva compiuti lo scorso 14 gennaio, festeggiando anche l’ultima assoluzione del Tribunale di Cagliari per associazione per delinquere e trasferimento fraudolento di valori. Piccole cose rispetto al curriculum del piccolo sardo (nato a Torralba, nel Sassarese), soprannominato non a caso «nano ghiacciato» (un noto aperitivo) da Francesco Pazienza, altro personaggio che ha attraversato l’Italia dei misteri. Eppure Carboni ha avuto solo una condanna definitiva, anche se importante, quella a 8 anni e 6 mesi per la vicenda del fallimento del Banco Ambrosiano.

Tanti arresti, fin dal primo in Svizzera nel 1982. Poi tutta una serie di assoluzioni: dall’accusa di concorso nell’omicidio di Roberto Calvi dopo che il pm aveva chiesto la condanna all’ergastolo; dall’accusa di essere stato il mandante del tentativo di omicidio di Roberto Rosone, vice di Calvi all’Ambrosiano; dall’accusa di falso e truffa ai danni del Banco di Napoli; dall’accusa di ricettazione della borsa di Calvi. Assolto ma ben presente in tanti episodi ancora bui della prima ma anche della Seconda Repubblica.

Fu lui ad accompagnare Calvi a Londra, e al suo fianco prima della morte del banchiere, che Carboni continuava a definire un suicidio. «Non era San Francesco, tuttavia è stato sempre considerato un personaggio misterioso che in realtà non era» ha detto ieri il suo avvocato, Renato Borzone. Una vita piena di relazioni, la sua, dall’ex gran maestro del Grande Oriente d’Italia, Armando Corona, fino a Silvio Berlusconi del quale fu socio nel progetto 'Costa Turchese', più noto come 'Olbia 2', che riprendeva il 'Milano 2' dell’allora solo 'cavaliere'.

Ha sempre negato qualunque rapporto con il capo della P2, Licio Gelli. Non quelli con alcuni esponenti della Banda della Magliana e di 'Cosa nostra', come Pippo Calò. Proprio per questi legami, nel 2010, era stato ascoltato come testimone in Procura sulla sparizione di Emanuela Orlandi. Così come durante il sequestro Moro avvicinò esponenti Dc, offrendosi di sollecitare l’intervento della mafia per la sua liberazione.

Qualche giorno dopo riferì però che 'Cosa nostra' non voleva aiutare Moro perché troppo legato ai comunisti. Non gli unici rapporti con la criminalità organizzata. Varie volte, anche recentemente, è stato indagato per presunti affari con i clan camorristi, dai 'Casalesi' ai Moccia di Afragola, sempre per investimenti di denaro riciclato in Sardegna in attività turistiche. Anche soldi frutto di traffici di cocaina. Ma poi sempre assolto. Di certo è rimasto attivissimo fino all’ultimo. Inciampando ancora nella giustizia. Nel 2018 era stato condannato in primo grado a 6 anni e 6 mesi per la vicenda P3 dove comparivano anche Denis Verdini, Nicola Cosentino, Marcello Dell’Utri.

L’ultima sentenza a suo carico, sempre in primo grado, risale al 18 gennaio scorso quando è stato condannato per riciclaggio dei proventi delle fatture inesistenti emesse dall’imprenditore Valeriano Mureddu, che nel 2014 fece da tramite tra lui e l’allora vicepresidente di Banca Etruria, Pierluigi Boschi, padre dell’esponente renziana. Ma puntava a nuovi affari, come quello del grafene, il nuovo materiale ipertecnologico. Ma anche le mascherine Covid-19.