La criminologa. «Dal disagio alla furia omicida». L'anello mancante nella ricostruzione
La criminologa Anna Maria Giannini
Il cellulare di Anna Maria Giannini, docente di Psicologia forense e Criminologia alla Sapienza di Roma, è intasato dai messaggi di adulti sconvolti da una strage inammissibile: se a sterminare una famiglia è stato il figlio 17enne che fino a quel momento non aveva dato segni di squilibrio, chi può stare tranquillo? «Diciamo subito che ciò che è successo nella villetta di Paderno Dugnano è del tutto atipico. Gli adolescenti in genere vivono un’età di disagio che sfocia in aggressività e trasgressione, ma non per questo uccidono, grazie a un controllo comportamentale che invece a questo ragazzo è mancato. Il passaggio che lo ha portato dal normale disagio adolescenziale ad armare la mano e azzerare la famiglia è l’anello mancante che gli psichiatri via via ricostruiranno insieme a lui».
È proprio questo che ci angoscia: che cosa può indurre un ragazzino a sterminare la sua famiglia con una freddezza impensabile?
Dieci omicidi su quattro avvengono in famiglia – questi i dati sconfortanti di Eures –, ma la gran parte sono omicidi commessi da parte di un uomo che uccide la compagna. È rarissimo che un figlio uccida i genitori, anche se abbiamo famosi casi precedenti, ad esempio Erica e Omar, Pietro Maso, Doretta Graneris, ma quando ciò accade ci colpisce particolarmente: già un omicidio è contro natura, ma se commesso verso i genitori o i figli è un’azione contraria a qualsiasi legge di natura e allora cerchiamo una spiegazione. Il caso di Paderno Dugnano ha delle sue specificità che lo rendono molto diverso dai precedenti: negli altri delitti c’erano delle “ragioni” precise, l’eredità, l’opposizione dei genitori a una relazione, l’assunzione di droghe, invece questo 17enne privo di vizi ha ucciso senza un obiettivo evidente, ma facciamo attenzione alle sue parole: “Mi sentivo un corpo estraneo”, è una percezione drammatica, che lo metteva probabilmente in contrasto con la famiglia serena, coesa, quasi “perfetta” in cui viveva. Insomma, stavolta il caso è centrato esclusivamente sul disagio psichico, tutto si gioca nella mente di questo adolescente.
Eppure adulti e coetanei lo descrivono come solare.
Il mondo psicologico degli adolescenti è quanto di più complesso possiamo immaginare: nella loro mente convivono emozioni positive e negative, istanze costruttive e distruttive, desiderio di autonomia e di dipendenza, vivono una lotta interna e non si aprono agli adulti. Questo ragazzo certamente è stato attentissimo a non far trasparire nulla, teneva la sua angoscia dentro di sé, fino al momento in cui quella alienazione che lo faceva sentire così inadeguato e oppresso da una famiglia in cui tutto funzionava bene è divenuta intollerabile, e lui ha immaginato l’annullamento degli altri come unica via di uscita. Non a caso la tragedia esplode dopo una serata di festa in famiglia, dove i parenti si erano riuniti per il compleanno del papà. Cosa sarà accaduto nelle ore successive è il tassello fondamentale che lui stesso oggi non saprebbe ricostruire: all’inizio chi compie queste azioni è stordito, poi man mano con l’aiuto degli psicologi rimette insieme i pezzi e il momento è terribilmente doloroso. Il primo elemento interessante è che il giovane dopo la strage non vaga in stato confusionale né è disconnesso dalla realtà, anzi, chiama lui i Carabinieri e inventa lucidamente una storia che gli inquirenti smontano subito, dunque ha una perfetta consapevolezza della gravità di ciò che ha commesso. L’altro elemento è l’overkilling, il coltello cioè viene usato ben oltre il necessario per uccidere, sferra i suoi colpi prima sul fratellino addormentato, poi sui genitori accorsi purtroppo in tempi successivi e indeboliti dallo choc della scena, per cui incapaci di reagire. Li colpisce per uccidere, tutti a gola e collo, dove scorrono i centri vitali. L’overkilling rivela sempre una rabbia molto forte, e infatti «ho pensato che uccidendoli tutti mi sarei liberato dall’oppressione», dice. Insomma, in quel momento il suo disagio ha raggiunto un livello ormai intollerabile, sentirsi estraneo in un contesto di unione è una percezione pesantissima. Attenzione, però, il fatto che non trovasse in famiglia uno spazio per il suo disagio non coincide necessariamente con il fatto che quello spazio non ci fosse. Forse se ne avesse parlato con i genitori...
Insomma, siamo portati a pensare che il disagio nasca nelle famiglie problematiche, ma non sempre è così.
Un quadro di “perfezione”, dove tutto funziona come deve, nella mente di un adolescente come quello che ho descritto all’inizio può farlo sentire inadeguato a una dimensione così lineare. Allora – ci chiediamo – se la famiglia è violenta non va bene, se è serena neppure, ma che dobbiamo fare? Il problema sta proprio in questo: che gli adolescenti trovino sempre il modo per esprimersi, ma non basta, l’ascolto deve far comprendere al ragazzo che c’è spazio per lui anche in ciò che appare distonico rispetto alle aspettative generali. Lui si “sentiva” distonico e per liberarsi ha ucciso una famiglia che nulla poteva immaginare.
Non c’erano segnali rivelatori.
Mettiamoci nei panni di questo padre che spegne le candeline e due ore dopo accade tutto, cosa doveva immaginare? La chiave sta tutta nel come le persone percepiscono le relazioni: credo che in questa famiglia la forza affettiva fosse ben attiva (basti vedere l’amore con cui i nonni si offrono di stare vicini al nipote), ma che proprio questo abbia innescato l’ingorgo emotivo del sentirsi lui sbagliato. Che meccanismo lo ha portato però dal pensiero alla terribile azione? E’ il tassello che manca, ma arriveremo a capire anche questo.