Attualità

INFANZIA. Dagli Usa sos minori «Adottiamoli in Italia»

Ilaria Sesana giovedì 20 agosto 2009
«Q uando abbiamo iniziato que­st’avventura ci hanno detto che eravamo dei Don Chi­sciotte. E invece abbiamo vinto questa bat­taglia ». C’è soddisfazione nella voce di Mar­co Griffini, presidente di AiBi-Amici dei bambini. Lo scorso 30 luglio infatti l’asso­ciazione è stata autorizzata ad aprire alle coppie italiane le adozioni internazionali con gli Stati Uniti. Un lavoro paziente, ini­ziato tre anni fa con l’apertura di un ufficio di AiBi a New York, e che si va a inserire al­l’interno di una situazione drammatica. In quella che è la nazione più ricca del pia­neta infatti sono circa 513mila i minori co­stretti a vivere sotto la protezione statale, o­spiti di una famiglia affidataria che riceve un assegno mensile dallo Stato per il man­tenimento del minore. Di questi 513mila, ben 114mila bambini e adolescenti sono stati dichiarati in stato di abbandono e so­no quindi adottabili. Ecco quindi il secon­do paradosso di tutta questa vicenda: nel Paese che, in assoluto, adotta il maggior nu­mero di minori all’estero, vivono decine di migliaia di bambini e adolescenti che nes­suno vuole. Il sistema di protezione dei minori negli Sta­ti Uniti si basa su un’ampia rete di famiglie affidatarie ( Foster care family) che hanno il compito di accudire i bambini che sono sta­ti allontanati dalla famiglia d’origine. Nien­te istituti quindi, ma il sistema presenta co­munque alcuni aspetti critici. Innanzitutto per il fatto che i tribunali im­piegano molto tempo a stabilire l’adottabi­lità del minore che, con il passare degli an­ni, perde progressivamente le possibilità di trovare una famiglia che lo adotti. Le aspi­ranti famiglie adottive americane infatti ten­dono a preferire i bambini molto piccoli, a discapito di quelli più grandicelli. Altro aspetto problematico, e che influisce pesantemente sulla crescita dei piccoli, è il fatto che la legge prevede spostamenti pe­riodici (ogni sei mesi) da una famiglia al­l’altra, per evitare che si creino legami af­fettivi troppo solidi. Bambini e ragazzi che nessuna famiglia a­mericana sembra voler prendere con sé. Troppo grandi per essere adottati, con pro­blemi di salute o che presentano disturbi comportamentali a causa dei lunghi tra­scorsi dell’abbandono. Oppure apparte­nenti a gruppi etnici di minoranza: dagli a­fro- americani agli ispanici. AiBi è convinta che, per questi 500mila bambini l’adozione internazionale possa rappresentare una ve­ra e propria ancora di salvezza. L’obiettivo dell’associazione quindi è quel­lo di dare a questi minori una possibilità in più per essere figli. Oltre all’adozione dei bambini che vivono sotto la protezione di Foster care family, AiBi vuole incentivare l’a­dozione di quei bambini che, dopo essere stati accolti da una coppia adottiva, hanno dovuto subire una seconda volta il trauma dell’abbandono. Si tratta di casi molto deli­cati, processi di accoglienza difficili poiché coinvolgono minori che, dopo aver vissuto il dramma dell’abbandono da parte dei ge­nitori biologici, si trovano ancora una volta nella condizione di essere rifiutati. Per col­pa, probabilmente, della scarsa prepara­zione delle aspiranti coppie adottive. Altro fronte su cui AiBi vuole lavorare è quel­lo dell’adozione come forma di prevenzio­ne dell’aborto. Negli States infatti esistono diverse organizzazioni impegnate nell’assi­stenza alle madri in difficoltà che scelgono di dare in adozione il proprio bambino an­ziché alimentare la strage silenzionsa degli aborti. La maggior parte dei bambini che fanno parte del US foster care system si trovano presso le 153mila famiglie affidatarie tem­poranee per negligenza o abusi da parte dei genitori. Mentre il 24% dei minori del Foster care sono stati posti in affido presso i propri parenti. L’età media dei piccoli che vivono sotto protezione statale si aggira sui dieci anni: la “fetta” più consistente (il 28%) ha un’età che oscilla tra gli 11 e i 15 anni men­tre il 20% ha un età compresa tra i sei e i die­ci anni. In percentuale, i bambini di origine afro-americana rappresentano il 32% del totale e gli ispanici il 18%. I bambini bian­chi invece rappresentano il 41% del totale. Quasi equamente divisi tra maschi (52%) e femmine (48%), in media trascorrono nel sistema poco più di due anni della loro vita (28,6 mesi per la precisione). Un periodo di affidamento temporaneo che in oltre la metà dei casi (il 54% per la precisione) si conclude con il ritorno presso la propria fa­miglia d’origine. Ogni anno, circa 20mila giovani escono dal sistema di protezione minorile americano. Molti compiono questo passo a 18 anni, pur avendo ancora bisogno di supporto e, come hanno dimostrato diversi studi, si tratta di giovani molto vulnerabili. Giovani che sono stati accuditi, vestiti, nutriti e istruiti, ma che, continuamente sballottati da una fa­miglia all’altra, non sono mai stati realmente amati.