Il tema. Da Taranto a Trieste, le Comunità energetiche avanzano. I rischi da evitare
Comunità energetiche
Il quadro normativo è completo e i progetti avviati sono ormai decine. La rivoluzione silenziosa delle Cer, le comunità energetiche in cui si produce e si consuma energia pulita risparmiando sulle bollette e tutelando l’ambiente, ha tra i suoi attori principali diocesi e parrocchie che stanno cercando di “mettere a terra” i principi di quell’ecologia integrale indicata da papa Francesco come la via maestra. Secondo l’ultimo rapporto di Legambiente in Italia sono state realizzate 145 Cer. Alcune decine quelle sostenuti direttamente dalla Chiesa. Lo scorso 22 maggio è stato pubblicato il vademecum della Cei per parrocchie ed enti religiosi. Una settantina di pagine in cui vengono fornite indicazioni normative, tecniche ed etiche.
Le forme giuridiche sono varie: dalla comunità di autoconsumo alla cooperativa, alla Cer vera e propria. «Come uomini e cristiani – è la riflessione fatta dal cardinale Matteo Zuppi durante la presentazione del vademecum – siamo chiamati ad amministrare in maniera responsabile i beni del Creato» effettuando una «manutenzione intelligente». Le Cer, secondo Zuppi, rispondono ad un duplice fine: «Aiutarci a combattere la povertà energetica e favorire la transizione ecologica».
A tre anni da Taranto, quando furono indicate come modello di coesione sociale, le Cer saranno protagoniste anche della 50esima edizione della Settimana sociale, che si terrà a Trieste dal 3 al 7 luglio e sarà dedicata ”Al cuore della democrazia”. Perché anche l’adesione alla comunità energetica è un atto di partecipazione alla democrazia, un modo per assumersi le proprie responsabilità.
«Dal punto di vista normativo abbiamo tutta la cassetta degli attrezzi definita dal decreto del ministero del 24 gennaio e dal Gse che ha aperto i portali per accedere agli incentivi – spiega Giuseppe Milano, ingegnere ambientale e autore del libro “Le comunità energetiche. Esperimenti di generatività sociale e ambientale”, che sarà uno dei moderatori della Settimana sociale –. Ci sono poi i due vademecum, separati ma complementari, pubblicati dall’Anci per i Comuni e dalla Cei per le diocesi». Le difficoltà però non mancano, soprattutto a livello burocratico. L’iter per formalizzare la Cer, allacciarsi alla rete e a vedere riconosciuto l’incentivo economico della durata di 20 anni, è complicato.
«Si tratta di un processo nuovo e laborioso – spiega Milano –. Molti enti religiosi di fronte a queste difficoltà, avendo una certa disponibilità economica per acquistare gli impianti fotovoltaici, preferiscono fare un’esperienza di autoconsumo, rimandando ad un secondo momento il coinvolgimento di altri soggetti». Il rischio è che, paradossalmente finiscano per essere svantaggiare le città dove i diversi soggetti si muovono in autonomia. «Si sta creando uno iato tra realtà urbane che si stanno indirizzando verso il modello dell’autoconsumo e le realtà più piccole alle quali la Ue ha riconosciuto all’interno del Pnrr uno stanziamento di 2,2 miliardi e la possibilità di operare anche in comuni limitrofi prendendo come riferimento la cabina primaria», aggiunge Milano che teme la trasformazione delle Cer in un bonus energetico. «I Comuni non hanno capacità tecniche e affidano il progetto “chiavi in mano” ai player energetici, ma in questo modo viene a mancare l’idea progettuale di aggregazione e condivisione. Questo è un vulnus sul quale occorre intervenire perché la parte sociale altrimenti sparirà».
Altro tasto dolente la mancanza di controlli, indispensabili vista la durata degli incentivi. In Italia nel 2013 è stato introdotto l’Energy manager ma soltanto il 20% Comuni ha questa figura. Per Milano occorre rilanciare il vademecum della Cei mettendo in condizione le diocesi di ottimizzare il modello di gestione in modo che possa diventare un’esperienza di generatività, partendo da una premessa indispensabile, vale a dire l’efficientamento degli edifici. La convenienza in termini economici è garantita.
«Far parte di una Cer non ti cambia la vita ma i vantaggi ci sono. In questo momento con la fine del mercato tutelato c’è molta confusione sui costi. Un elemento positivo è la conferma della detrazione fiscale del 50% per l’acquisto di pannelli solari, arrivata nell’ultima legge di bilancio. Un impianto medio costa 16-18mila euro, se lo si paga la metà viene ammortizzato in cinque o sei anni ma sopravvive almeno 15 anni».
In Puglia è in fase di studio un’iniziativa della diocesi di Bari-Bitonto che ha come punto di riferimento la fondazione Santi Medici Cosma e Damiano che gestisce hospice, centri diurni per anziani e centri anti-violenza e ha diversi edifici sui quali collocare gli impianti. L’obiettivo del presidente don Gaetano Coviello è intervenire per alleviare la sofferenza per la povertà energetica che nella zona di Bitonto è molto forte. Tra i progetti avviati spicca per capillarità quello della diocesi di Treviso che ha costituito una Fondazione specifica che si propone di coinvolge tutte le 263 parrocchie sul territorio delle province di Treviso, Padova e Vicenza. L’obiettivo è contrastare la povertà energetica di chi ha un Isee inferiore a 20mila euro: una parte dei benefici economici prodotti dalla Cer servirà a pagare le bollette di famiglie in difficoltà. Fresca di costituzione, dopo un anno e mezzo di valutazioni, la Cer promossa dalla diocesi di Faenza-Modigliana che coinvolge già nove parrocchie con il supporto di Confcooperative Romagna. Gli impianti fotovoltaici verranno collocati sui tetti degli edifici diocesani mentre gli incentivi ricevuti dallo Stato saranno investiti in progetti sociali per le persone più fragili.