Coronavirus. Vaccino, da Oxford a Roma (e Monza). Ecco le scommesse dell'Italia
L’annuncio a sorpresa di Putin – una scossa sismica nel campo della corsa mondiale al vaccino anti-Covid – arriva all'indomani del via libera alle prime sperimentazioni sull’uomo di una profilassi tutta made in Italy, all’Istituto Spallanzani di Roma. Una strada percorsa in punta di piedi, quella del nostro Paese sul fronte della ricerca sul Sars-Cov-2, in cui il governo s’è ritagliato la possibilità strategica di intraprendere diverse direzioni.
La prima, e da subito considerata più promettente anche a livello internazionale, porta ad Oxford e corre sul “vettore” messo a disposizione degli scienziati inglesi dai laboratori dell’AstraZeneca di Pomezia: l’Azd 1222 è tra i pochi candidati vaccini ad aver raggiunto la fase 3 della sperimentazione, quella cioè che ne testa già l’efficacia su decine di migliaia di persone. A partire da due successi già immagazzinati nelle fasi precedenti: da una parte la sicurezza e dall’altra l’effettivo aumento della risposta degli anticorpi.
Su come funzioni, a differenza del neonato Sputnik, c’è massima trasparenza dall’inizio: l’Azd 1222 è costituito da quello che in gergo scientifico si chiama appunto un “vettore virale innocuo” (in particolare l’adenovirus dello scimpanzé, prodotto a Pomezia) che è stato modificato con un innesto della ormai celebre proteina spike del coronavirus. E che il governo italiano – complice la collaborazione dell’azienda nostrana (per intendersi: l’infialamento dello stesso vaccino, che da AstraZeneca sarà anche prodotto, avverrà per tutte le dosi europee presso la sede della Catalent di Anagni) – abbia grandi aspettative sull’esito del gemellaggio è altrettanto chiaro: il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha siglato lo scorso giugno l’ingresso dell’Italia nella Inclusive vaccines allianceeuropea (guidata oltre che dal nostro Paese da Germania, Francia e Paesi Bassi) e un accordo con la stessa AstraZeneca, che prevede una fornitura fino a 400 milioni di dosi del vaccino per il Covid-19 dell’Università di Oxford. Come dire, l’Italia c’è.
Oxford-AstraZeneca
È il candidato, tra i pochi al mondo già in fase 3, sui cui il governo ha puntato dall’inizio, grazie al ruolo dell’azienda di Pomezia nel produrlo
Reithera
Ha appena incassato il via libera alla sperimentazione sull’uomo dall’Aifa: ad agosto i primi test su 90 volontari (se ne sono presentati 3mila)
Takis-Rottapharm
Attende ancora il via libera per la fase 1, ma ha ottenuto già risultati incoraggianti nei topi. La sperimentazione si svolgerà tra Napoli e Monza
Nel frattempo però sono avanzati, seppur più lentamente, anche i lavori sul fronte dei due vaccini tutti italiani contro il Covid. Quello di Reithera, fresco di autorizzazione da parte dell’Aifa per la sperimentazione di fase 1, prevede l’arruolamento di 90 volontari sani (se ne sono presentati 3mila) e sarà condotto a partire da fine agosto a Roma, anche grazie a un importante sostegno della Regione Lazio d’accordo con ministero della Salute, dell’Università e Cnr: il GRAd-Cov2, basato come quello di Oxford su un vettore adenovirale, ha già dimostrato di essere sufficientemente sicuro ed immunogenico nei modelli animali. Ora tocca all’uomo. Quello di Takis e Rottapharm Biotech, che ancora attende il via libera delle autorità sanitarie, dovrebbe invece partire coi test sull’uomo il prossimo inverno all’Istituto Pascale di Napoli e al San Gerardo di Monza.
Con una “ricetta” tutta diversa dal punto di vista clinico: quella di non utilizzare cioè per la produzione di anticorpi un vettore virale, ma un frammento di Dna preparato a partire dalla sequenza genetica del virus. Una soluzione che, secondo i suoi ideatori, assicurerebbe la facilità della produzione e la ripetibilità della vaccinazione se la risposta non fosse duratura e il virus dovesse mutare. Ma l’Italia non vuole fermarsi.
Di qui la decisione – accolta positivamente all’interno della comunità scientifica – di dare una spinta alla ricerca di un vaccino anti-Covid tutto italiano col Decreto agosto, la cui bozza approvata dal Cdm nei giorni scorsi prevede la creazione di un fondo per le emergenze nazionali di altri 580 milioni per il 2020 e 300 per il 2021 di cui «80 milioni per l’anno 2020 e 300 milioni per l’anno 2021» proprio per «la ricerca e sviluppo e l’acquisto di vaccini e anticorpi monoclonali prodotti da industrie naziona-li, anche attraverso l’acquisizione di quote di capitale a condizioni di mercato». Lo Stato azionista, insomma, dei progetti che verranno.